Berlino, Orso d'oro ai Taviani
Per gli italiani è un po’ come tornare ai Mondiali di calcio del ‘70, a quello storico «Italia-Germania 4 a 3» che subito acquistò il significato di una rivincita globale, storica, simbolica. Dopo mesi di testa a testa a colpi di bollettini sullo spread, l’Italia, grazie ai fratelli Taviani, si leva una gran bella soddisfazione, portando a casa, a distanza di molti anni dall’ultima vittoria (nel ‘91 l’Orso andò a Marco Ferreri con «La casa del sorriso»), il riconoscimento più importante della germanica kermesse. Complimenti e felicitazioni da tutto l’arco costituzionale, il ministro della cultura Ornaghi, ma anche il sindaco di Roma Alemanno, il presidente della Regione Lazio Renata Polverini, il presidente Rai Garimberti e naturalmente Raicinema che co-produce il film.
Il presidente di giura Mike Leigh è contento quasi come i vincitori: «Abbiamo saputo che i giurati hanno scelto in armonia - dicono i Taviani -, e non sempre capita. Questa Berlinale ci dà forza ed energia, il nostro saluto va ai detenuti che, recitando, sono tornati a ri-vivere, per pochi giorni, ma con passione». In platea Nanni Moretti, distributore della pellicola con la Sacher, sorride soddisfatto, per l’Italia una gran serata, in linea con le previsioni che, fin dalla prima proiezione di «Cesare deve morire», piazzavano la pellicola nella rosa dei premiabili. Un pugno di film che parlano della storia dei nostri giorni, in sintonia con la tradizione politico-sociale del FilmFest e con l’atmosfera di un mondo squarciato da guerre, contraddizioni, ingiustizie: «I nostri film - dice il direttore Dieter Kosslick - affrontano questi temi, mostrano il modo con cui stiamo distruggendo i luoghi in cui viviamo, comunicano un messaggio forte. Sono convinto che, proprio in tempi di crisi, la cultura sia lo strumento più importante con cui guardare al futuro».
Il secondo premio va a «Just the wind», regia di Bence Filegauf, denuncia delle persecuzioni subite dai rom, ispirata a fatti realmente accaduti nell’Ungheria contemporanea. L’Orso d’argento, secondo i pronostici, va a Christian Petzold che in «Barbara» (in Italia uscirà per la Bim), rievoca il clima della Germania Anni Ottanta, con il suo peso oscuro di sospetti, desideri repressi, vite spezzate, quando la gente, dice l’autore, «viveva in un universo che stava morendo». La migliore attrice è Rachel Mwanza, giovane protagonista del duro «Rebelle», cronaca, sospesa tra sogno e realtà, dell’epopea drammatica di una ragazzina trasformata in soldato e costretta a combattere sul fronte della guerra civile, in Congo. Quando arriva l’annuncio, Mwanza quasi non ci crede, poi salta sulla poltrona e, davanti ai microfoni, esprime tutta la sua gratitudine al regista, il canadese Kim Nuyen. Il miglior attore è Mikkel Bo Folsgaard, il re stravagante del danese «A royal affair», mentre il favorito «White deer plain» di Wang Quan’an deve accontentarsi del riconoscimento per il miglior contributo artistico .
Il più deluso è Miguel Gomes che, fino all’ultimo, con il suo «Tabu», quasi una risposta portoghese a «The artist», sperava di guadagnare riconoscimenti più importanti. Lo premia il regista francese François Ozon, lui commenta vagamente annoiato: «Sono confuso, ho vinto il premio Alfred Bauer per l’innovazione, e invece pensavo di aver fatto un film alla vecchia maniera. Dedico il riconoscimento a registi del mio Paese come de Oliveira che, nonostante la difficile situazione in cui ci troviamo, continuano a fare cinema politico». Per «Sister», della svizzera Ursula Meier, una menzione speciale della giuria. Al centro del film, secondo una delle tendenze più marcate della rassegna, la figura di un ragazzino che sbarca il lunario rivendendo sci rubati ai turisti. I bambini ci guardano, e la Berlinale, quest’anno, lo ha ricordato con particolare insistenza, quasi per dire che quelli sono gli unici occhi in grado di risvegliare le coscienze assopite.
Nella sezione «Panorama», un’altra affermazione «made in Italy», con il film di Daniele Vicari «Diaz - don’t clean up this blood», secondo titolo più gradito dal pubblico: «Dedico il premio al cinema italiano, che deve ritrovare la forza di parlare fino in fondo di quello che succede in casa nostra e anche fuori». Dal FilmFest, il segnale di rinascita arriva chiarissimo, ora bisogna evitare che cada nel vuoto.