Hai delineato la tua formazione artistica attraverso studi di perfezionamento in Scuole , Laboratori teatrali e Seminari che ti hanno impegnato per molti anni.Quali ricordi porti del periodo dedicato allo studio?
E' vero, sono stato fortunato. Ho incontrato dei grandi maestri e potuto lavorare con dei grandissimi professionisti. E' qualcosa di cui essere grati. E' stato un periodo bellissimo e totalizzante. Per tre anni, frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia, vivevo un po' come un recluso, tutta la mia vita era la scuola; eravamo lì tutto il giorno, e spesso i progetti ci impegnavano anche fuori dagli orari di lezione. E' un periodo che mi ha cambiato molto, ma forse il lavoro che è venuto dopo è stata la scuola più grande. Sicuramente studiare intensamente ogni giorno, frequentare le lezioni, fare lunghe nottate sveglio a preparare le scene per il giorno dopo mi hanno trasmesso quella professionalità, serietà di cui tutt’oggi beneficio; mi hanno insegnato che questo è un mestiere che non si improvvisa, il rispetto per tutte le persone che lavorano con te, sempre e comunque.Mi hanno insegnato che il leader non esiste, ma esiste un clan di persone che sono con te per fare un film o per mettere in scena uno spettacolo teatrale e quindi tutti hanno voce in capitolo e occorre ascoltaretutti. Da quando ho iniziato a fare l’attore, il cosiddetto “fuoco sacro”,una volta acceso, continua ad ardere sempre di più. Fare l’attore non era assolutamente nei miei pensieri anche perché vivevo in un ambiente (Città di Castello, piccolo paese in provincia di Perugia, ) che non permetteva di pensare al teatro, dato che non esisteva. Alla fine degli anni Novanta, durante le scuole superiori, l’incontro casuale con Valeria Ciangottini mi ha spinto ad un approccio al teatro.. Si sono aggiunti degli appassionati e insieme abbiamo costituito un’associazione culturale chiamata “OTTOBRE”. Da lì è cominciato tutto. Pian piano avvertivo che questa passione aumentava ogni giorno di più. Non era soltanto un desiderio, un hobby, ma un bisogno crescente. Non c’era un momento in cui non pensassi alle quattro frasi che avrei dovuto dire in scena, al testo da sviluppare. In realtà l’avevo già preso seriamente da subito questo mestiere, da quando avevo iniziato a livello amatoriale. Ma lì ho capito l’importanza, oltre all’impegno, del talento, della serietà, di quanto bisogna andare in profondità anche sul testo; da quanto si possa partire lontano per ottenere determinati risultati. Per me, questo mestiere è nato da lì.
Luca Ronconi, Leo Gullotta, Anna Galiena, Alessandro Haber, Luigi Lo Cascio,Valeria Ciangottini, Anna Maria Guarnieri sono solo alcuni dei Maestri che hai avuto. In che misura un Maestro incide sul temperamento artistico di un allievo? Chi, tra quelli succitati, ti ha maggiormente segnato?
Ronconi è uno dei maestri nello sviscerare il testo … Va in profondità al punto da renderti lampante quello che lui vede. È talmente geniale, non solo nel vedere quello che c’è scritto, ma nell’interpretare il sottotesto. Ti fornisce stimoli che mettono nella condizione continua di cercare, di lavorare. Non so se riesco a spiegarmi, ma la genialità di Ronconi mi ha portato ad affrontare in maniera diversa proprio il mestiere dell’attore, mi ha fatto capire, stando a contatto con dei professionisti, quanto impegno ci vuole. Mi ha cambiato l’approccio a un testo, mi ha insegnato a pormi delle domande. Tante. E a cercare delle risposte. Prima ero molto più istintivo. Per certe cose l’istinto ci vuole e cerco di mantenerlo; per altre, invece, è fondamentale al fine di una ricerca.
Teatro, televisione , cinema e pubblicità, passaggi consecutivi che ti hanno permesso di “saggiare” ambienti diversi. Al di là dei risultati conseguiti, a quale di essi va la tua preferenza e perché?
Non sono in grado di fare questa scelta. Confesso che non riesco a fare a meno né dell’uno né dell’altro mezzo. Posso dire che mi sento più a mio agio a teatro. Anche perché il teatro è il luogo dove si può realmente, non solo dimostrare le proprie vere capacità, ma dove si entra in contatto con persone vive con le quali si deve necessariamente trovare un rapporto immediato. Con la macchina da presa si può bluffare, si ferma la scena e ripeti … Il teatro è un viaggio. Parti da lontano, leggi, rileggi, provi in piedi, quando inizi il percorso di un personaggio ti ci butti a pesce, entri in esso, e dal momento in cui entri in scena fai un cammino per un determinato tempo, e fino alla fine non esci più da quel personaggio. Al cinema invece no. Stai due minuti su quel personaggio il tempo di girare la scena, poi stacchi, e riprendi. È un lavoro diverso. Più snervante. Anche perché non è che si riesca a trovare subito la concentrazione, o il giusto stato d’animo in ogni momento. Io non riesco. Personalmente sono sempre molto emozionato e in teatro l’emozione la si può vincere col tempo, anche se rimane un certo timore e adrenalina. Dopo un po’, però, che stai in scena l’emozione passa. Io inizio sempre molto teso. Quando poi riesco a sciogliere la tensione parto. Ci sono dei giorni in cui non riesco e allora faccio tutto legatissimo. Il cinema è diverso. Se fai lavori lunghi e quindi hai più tempo per prendere confidenza e instaurare rapporti con le persone che hai attorno - l’operatore, il direttore della fotografia, gli elettricisti, il microfonista -, allora riesci a scioglierti. Se non conosco bene le persone mi sento osservato e giudicato e questo mi provoca tensione, mi irrigidisce, e non sono produttivo.
Tra i ruoli interpretati in quale ti sei maggiormente riconosciuto?
Sicuramente tuttora l’esperienza che mi ha fatto fare quel piccolo passo in più, nel senso di riconoscibilità per qualcosa che è piaciuto. Sono affezionato a tutti i miei personaggi perché in tutti ci ho messo l’anima e li ho strutturati saldamente. Cerco tuttavia sempre di mettere la stessa convinzione in tutto quello che faccio, altrimenti questo lavoro perde la sua bellezza, e diventa appunto solo un "lavoro". Ogni volta che ho un ruolo nuovo cerco di capire che cosa mi può regalare.
Essere il pronipote del grande Elio Petri, cosa ha significato per te? Ne hai avuto qualche vantaggio?
In casa siamo cresciuti con mio padre che ce ne parlava con grande orgoglio e ci faceva guardare i suoi film. Così da adulto ho sentito mia un’eredità virtuale. Sono l’unico Petri che ha preso questa strada. Lo ricordo innanzi tutto come zio, una persona di famiglia che viveva nel ricordo dei piccoli documentari che realizzava a casa. Ci regalava le sue foto per le ricorrenze. Il suo cinema politico, di denuncia, è stato fondamentale per la generazione ’60-‘70 ha anticipato avvenimenti tuttora non chiariti. Era certosino, estremamente accorto nei dettagli, con una profonda empatia per questo lavoro. Diceva: ‘prima di tutto sono un uomo e cerco di tradurre la mia esperienza umana in una sceneggiatura; se la filtrassi troppo non farei un film, ma qualcos’altro’”. Purtroppo non ho avuto nessun vantaggio da questa eredità genetica ….. e ancora sto aspettando la vera consacrazione….
Oltre a quella per la recitazione, coltivi altre passioni artistiche?
Mi piace leggere e scrivere. Leggo perchè spero di trovare emozioni, storie che mi facciano riflettere, divertire, arrabbiare, impaurire. Perchè considero le parole un veicolo di trasmissione in movimento. E quando le sento statiche smetto di leggere, è inevitabile. Attraverso le parole cerco di carpire quello che cercava di dire lo scrittore, le faccio mie però e le interpreto (magari anche fraintendendole o trovando un altra angolazione che neanche chi le aveva concepite aveva visto). Leggo perché mi fa sentire vivo. Partecipe. Divento parte di un flusso più grande di me che mi abbraccia.Leggo perché mi può aiutare a capire. A svagarmi. A lavorare di fantasia. Lo stesso per la scrittura: Scrivo perché mi estraneo dal mondo. Divento un altro .Quando scrivo, mi sento rinascere, rinascere nel cuore. Scrivendo vivo la mia seconda vita perché faccio fare ai protagonisti quello che io non ho il coraggio di fare. Mi piace scrivere perché mi diverto, mi libero. E mi dà un senso estremo di felicità.
Cosa conta veramente per te nella vita?Ho scoperto che è molto utile farsi questa domanda: cosa conta veramente?Nella mia routine mattutina, dedico sempre un paio di minuti per rispondere a questo quesito. Ricordarmi cosa sia davvero importante, mi aiuta a tenere ben salde e in mente le mie priorità. Il valore cui affido il mio piacere è l’entusiasmo in tutto quello che faccio!Ridere spesso e di gusto, ottenere il rispetto di persone intelligenti e l’affetto dei bambini.. Apprezzare la bellezza in ogni sua forma, sapere che anche una sola esistenza è stata più lieta per il fatto che tu sia esistito. Ecco questo è avere successo, questo è quello che conta per me nella vita…
Già annoveri diversi riconoscimenti che di certo ti hanno gratificato e a questo proposito puoi dirci cosa rappresenta per te l’Associazione Napoli Cultural Classic?
Anna Bruno