Martedì 1 dicembre 2009 al Teatro Nuovo di Napoliil debutto in prima nazionale diAtto senza parole e altri testi di Samuel Beckettcon la regia di Pierpaolo SepeTommaso Bianco, Benedetto Casillo, Gigi De Luca, Franco Javaronei quattro straordinari interpreti dello spettacolo presentato dalTeatro Stabile di Napoli e Nuovo Teatro Nuovonell’ambito del progetto Shakespeare / Beckett
Attesa prima nazionale, martedì 1 dicembre 2009 alle 21.00 (con repliche fino a domenica 20), al Teatro Nuovo di Napoli, per Atto senza parole e altri testi di Samuel Beckett, la nuova creazione scenica del regista Pierpaolo Sepe, qui al suo secondo “incontro” con l’autore irlandese dopo Finale di partita nel 2000. Lo spettacolo, presentato dal Teatro Stabile di Napoli e dal Nuovo Teatro Nuovo|Teatro Stabile d’Innovazione, apre il ciclo di appuntamenti promossi dal Teatro Stabile con la storica sala di Via Montecalvario nell’ambito del programma di collaborazioni teatrali nel territorio, e all’interno del progetto Shakespeare / Beckett.Quattro importanti interpreti della scuola partenopea, Tommaso Bianco, Benedetto Casillo, Gigi De Luca, Franco Javarone, danno vita, in scena, ai personaggi di sei testi di Samuel Beckett: Teatro 1, Teatro 2, Atto senza parole 1, Atto senza parole 2, Un pezzo di monologo, Cosa dove. Una scelta drammaturgica che attraversa trent’anni di scrittura di un autore fra i più espressivi del ‘900, che il regista affronta e mette in scena per indagare e approfondire l’evoluzione del suo linguaggio.“L'attore napoletano – sottolinea Piepaolo Sepe – porta con se una dose di autentica drammaticità assieme ad una inestinguibile dose di ironia e di leggerezza, qualità essenziali per interpretare Beckett, e restituire, intatta, la sua poetica. Data la centralità del fallimento nell’opera beckettiana, appare, più che mai, aderente nell’affrontare l’arduo compito”. Quello che si apprestano a inscenare è un meta-macro fallimento: il fallimento nell’opera beckettiana e la vocazione intrinsecamente fallimentare di ogni sua autentica messa in scena. Personaggi senza speranza e senza redenzione, privati della retorica del dolore, armati di cattiveria e rancore, colti nell’attimo che precede la risposta, ancora nell’atto di inseguire una possibilità di dignitosa sopravvivenza, un ordine, un senso misterioso. Mortificati pagliacci, traditi da un’incomprensibile esistenza, camminano in cerchio. Come figure della pittura di Bram Van Velde, capace di fallire in modo così prodigioso, mute a un ascolto indebolito dai nostri giorni grigi, nascondono il loro risplendere dietro contorni apparentemente confusi. Un cuore più attento, però, può arrivare ad ascoltare il canto feroce della dannazione, a scorgere le domande che non riusciamo a formulare e una luce lontana.L’allestimento si avvale delle scene di Francesco Ghisu, i costumi di Annapaola Brancia D’Apricena, le musiche di Francesco Forni, il disegno luci di Luigi Biondie l’apporto della drammaturga Francesca Manieri. Le traduzioni sono di Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Camillo Penati.Atto senza parole e altri testi, di Samuel BeckettNapoli, Teatro Nuovo – dall’1 al 20 dicembre 2009Info e prenotazioni al numero 0814976267 email botteghino@nuovoteatronuovo.itInizio delle rappresentazioni ore 21.00 (feriali), ore 18.00 (domenica)
Da martedì 1 a domenica 20 dicembre 2009Napoli, Nuovo Teatro Nuovo
Teatro Stabile di Napoli, Nuovo Teatro Nuovopresentano
ATTO SENZA PAROLE e altri testidi Samuel Beckett
traduzioni di Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Camillo Penati
con Tommaso Bianco, Benedetto Casillo, Gigi De Luca, Franco Javarone
scene Francesco Ghisucostumi Annapaola Brancia D’Apricenamusiche Francesco Fornidisegno luci Luigi Biondidrammaturga Francesca Manieri
direttore di scena Clelio Alfinitomacchinista Mario Febbraiofonico Carmine Pierrisarta di scena Maica Rotondorealizzazione video Claudio Nocefoto di scena Brunella Giolivo
assistenti volontari alle scene Rosanna Grammatico, Mattia Migliorati, Alessandro Marangoloassistente volontaria ai costumi Luisa Corcioneassistente volontaria di produzione Adele Salimbeni
regia Pierpaolo Sepe
prima nazionale
La lezione di Beckett Fallire senza paura.
L’irrappresentabilità dei colori dell’anima porta ad un inevitabile fallire. Anche quando, come in Beckett, l’irrappresentabile viene raggiunto e percorso. Tutto quanto viene escogitato per evitare o nascondere il fallire è il male, ciò da cui bisogna difendersi. La convenzione, il canone, il sentire comune, il condivisibile, l’aggregante, altro non sono che allontanamenti, compromessi, paura di restare soli. Questa è la regola, questo è per me avvicinarsi a Beckett.Questi i presupposti di Atto senza parole, spettacolo che mi accingo a costruire insieme a quattro interpreti, capaci di restituire il disordine della disperazione ed il ridicolo che ne consegue. Personaggi senza speranza e senza redenzione, privati della retorica del dolore, armati di cattiveria e rancore, colti nell’attimo che precede la risposta, ancora nell’atto di inseguire una possibilità di dignitosa sopravvivenza, un ordine, un senso misterioso. Mortificati pagliacci, traditi da un’incomprensibile esistenza, camminano in cerchio. Come figure della pittura di Bram Van Velde, capace di fallire in modo così prodigioso, mute ad un ascolto fiaccato dai nostri giorni grigi, nascondono il loro risplendere dietro contorni apparentemente confusi; ma un cuore più attento, nel suo generoso protendersi, può arrivare ad ascoltare il canto feroce della dannazione, a scorgere le domande che non riusciamo a formulare e una luce lontana.Pierpaolo Sepe
I testi, in ordine cronologico, e gli interpreti
Teatro 2 (Benedetto Casillo, Gigi De Luca)Atto senza parole 1 (Tommaso Bianco)Atto senza parole 2 (Benedetto Casillo, Franco Javarone)Un pezzo di monologo (Gigi De Luca)Teatro 1 (Tommaso Bianco, Franco Javarone,)Cosa dove (Tommaso Bianco, Benedetto Casillo, Gigi De Luca, Franco Javarone)
Note drammaturgiche
C’è una compagnia di comici dimenticati, che vanno, a mettere in scena Beckett, forti di un’idea: data la centralità epistemologica del fallimento nell’opera beckettiana, nessuno è più degno di loro di affrontare l’arduo compito. Quello che loro si apprestano ad inscenare è un meta-macro fallimento: il fallimento dell’opera beckettiana e la vocazione intrinsecamente fallimentare di ogni sua autentica messa in scena.Questa che avviene davanti ai nostri occhi è una perenne prova aperta, aperta perché ogni situazione è, in Beckett, situazione limite, aperta perfino nella contemplazione del suo limite, aperta su un altrove condizione e ragione incomprensibile di quel limite. Aperta ad ogni errore, ad ogni tempo mancato e mancante. Aperta in ogni atto, in ogni passaggio, e nel suo stesso esito o finale: finale arbitrario che coincide non con una fine interna, con un’esaustività dell’opera, ma con l’atto dello spegnere, del chiudere senza chiudere, del chiudere sull’apertura della “serie delle pure domande” che è non la ragione dell’opera, ma l’opera stessa. Consci che “essere artista è fallire, così come nessun altro ha il coraggio di fallire, che il fallimento è il mondo dell’artista, e sfuggirlo equivale alla diserzione”, questi quattro comici ontologicamente ridotti prima ancora che come personaggi, come creature che inscenano perennemente l’inscenare se stesse, incastrate in un purgatorio di metallo, non disertano. Fedeli all’idea beckettiana per cui i personaggi sono “da sempre e per sempre” presenti gli uni agli altri, compresenti, inseguono affannosamente “da sempre e per sempre”, la speranza già consumata di dar senso all’esperienza propria ed altrui. Dibattono comicamente, in barba a Camus, come zelanti impiegati sulla possibilità insita nel suicidio (Teatro II). Visualizzano che tanto la partita della sopravvivenza quanto quella della morte volontaria sono loro precluse da un altrove che annienta la volontà non solo di vita, ma anche di morte (Atto senza parole I). Accettano impassibili l’essere accomunati da un medesimo e invisibile destino che li eterodirige verso un centro sempre mancante (Atto senza parole II). Non paghi, reagiscono, ancora, “ancora e ancora” al fallimento che è la vita stessa nella trama perenne della morte (Un pezzo di monologo). Si ritrovano per un istante non più soli in questo baratro incomprensibile. Levano un grido che l’altro possa udire, per un istante, oltre i confini di rifugi isolati. Ma quel contatto fugace, quella speranza transeunta di legare l’uomo all’uomo, quell’istante che sia da senso, nell’assenza del senso, svanisce nell’abisso di una solitudine che trasforma ogni incontro in arbitrio, ogni contatto in potere (Teatro I). Infine. Stanchi e fallenti, sul fare dell’inverno di ogni vita, restituiscono a noi, intatta la domanda insoluta del senso, di ogni cosa del nostro esistere, di ogni dove di questo nostro andare. (Cosa Dove). Francesca Manieri