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Intervista a Francesca Garofalo 1° Premio per la Narrativa al XVII° Premio letterario internazionale Napoli Cultural Classic
10/06/2022
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I finalisti di CineCi' - CortiCulturalClassic 2022 a Palma Campania vi aspetta la grande festa del cinema giovanea
07/06/2022
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17° Premio letterario internazionale NCC - Bando 2021/2022
23/11/2021
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23/11/2021
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23/11/2021
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Ornella Muti, la vera diva mancata del cinema italiano
08/08/2022
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L'attore Lando Buzzanca alla fine degli sessanta e settanta è stato un uomo molto desiderato nell'immaginario femminile
05/08/2022
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L'attore Guido Di Geronimo: " Mi piace ritenermi una spugna, perché sono convinto che non si smetta mai di imparare e ogni occasione può essere quella buona per apprendere uno stile, una tecnica, un movimento, un’intonazione."
25/07/2022
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L'attore Giordano Petri: "Anche interpretare personaggi sbagliati, diversi, quelli che non sono arrivati al successo, è stato emozionante e mi hanno fatto crescere e maturare."
20/07/2022
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Giuseppe D’Angelo: "Ho cercato sempre di studiare, sperimentare, approfondire e soprattutto coltivare le mie passioni, il teatro e la musica, che sono sempre state il leitmotiv della mia vita."
19/07/2022
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INTERVISTE ESCLUSIVE NAPOLI CULTURAL CLASSIC: Rosario Amato
DI CHI PARLIAMO
ROSARIO AMATO
Quale ricaduta ha avuto, sul tuo lavoro di autore e regista, la contaminazione della tua Terra?
La mia terra è una terra barbara nel senso più etimologico del termine. E’ una landa che brucia di origini, ma che è stata e continua a essere culla fervida di contaminazioni. E’ il luogo che mantiene i suoi colori, i suoi odori, le sue più magiche tradizioni a dispetto di ogni progresso. E’ una arcadia insensata che sprofonda nel più cinico dei futuribili. Come può, questo magma incandescente di contraddizioni, di spinte all’onestà più disarmante dei suoi culti e di tensioni civiche, non ispirare. Quale luogo, se non la mia terra, profuma di tragedia, come un filo teso tra le criminalità che la determina e la condanna a un’identità senza sfogo e lo sforzo epico, e talvolta messianico, della gente onesta che la popola. Questa terra è il luogo di un’eterna nemesi, di una sospensione metafisica tra permanenza e divenire, è l’umiliazione dell’uomo che prova il suo riscatto e questo stesso che gli viene strappato come l’acqua di Tantalo. In questo infinita Colono, ogni uomo è Edipo e come Edipo consuma la sua involontaria colpa: un incesto obbligato delle sue origini, una ricerca di affrancamento a occhi chiusi.
Quanto conta, per te, il Teatro come passione, oltre al lavoro di medico?
Le due attitudini non sono disgiunte sia che le si intenda come arti, sia che le si voglia declinare come scienze. Il teatro è uno sguardo empatico, acuto, sottile nell’ellissi dell’animo umano e la medicina in fondo richiede queste stesse abilità applicate all’apparato umano. L’autore teatrale e il medico sono due modi dello stesso sentire, della stessa attitudine alla sensibilità, al guardare con occhi scevri da giudizi preconcetti all’onesta realtà degli oggetti e dei soggetti.
Tante storie che hai scritto e tradotto creando personaggi di forte spessore umano, qual è il più interessante per le emozioni che ti ha dato?
Il più interessante è l’uomo nella sua interezza, nel suo tentativo di staccarsi dal fango della sua stessa creazione. Didone, Enea, Saffo, Salomè sono solo gli archetipi universali dell’uomo. Il teatro deve essere onesto, deve ricercare l’onestà della parola, del suono, del gesto, del movimento; deve sapersi spogliare di ogni sovrastruttura e armarsi di una consapevole nudità come un adamo senza pudore di peccato. La realtà è sempre neutra nella sua forza eruttiva, è l’occhio di chi guarda a rivestirla di pre-giudizi, ma la verità del teatro è nel nudo del suo oggetto emotivo e razionale. Verità che in greco è altheia e in quanto tale possiede la radice LAT- e quindi lantanomai, lento dis-velarsi: perché anche alla verità l’uomo deve essere preparato. E il mio teatro ha in ciò un senso didattico, di ricerca ultima di una preparazione morale al nudo spessore dell’oggetto.
Di cosa parla il tuo ultimo spettacolo di cui sei Autore?
Lo Spettacolo “Delle Corrose Carni- Dido et Aeneas” è un dramma in atto unico per il teatro-danza nato da un’idea di Filippo Stabile e Rosario Amato. Lo spettacolo, della durata di 1hr e 30’ circa, si fonda su un testo teatrale edito da Akea edizioni di Ravenna, scritto da Rasario Amato su suggestione Vergiliana e dedicato al contrasto antropologico e intimistico tra Didone ed Enea. Un amore corrotto e distrutto che diviene lo scontro tra due mondi, tra due declinare l’esistente. Il maschile e il femminile, nudi, innanzi debolezze e orgogli, fato e volontà, sangue e riscatto. Il dramma classico si macchia delle tinte intimistiche e franche del post-moderno, l’epica si fa relativistica analisi psicologica, due mondi nell’ultimo confronto in un clima sospeso tra vita e morte, delirio e ragione in un averno metafisico e scomposto, simbolista e carnale, dilaniano le carni dell’essente. La danza contemporanea interpretata e diretta da filippo stabile con 2 danzatrici e 2 danzatori (esiste una ridotta a 2 danzatori e solo la parte di Didone, o una versione ampliata con 6 danzatori), marcano il tempo cupo e surreale di un dramma le cui declinazioni imprevedibili tolgono il fiato e restituiscono al lettore la più intima natura della debolezza umana. Yin e Yang , che il corpo dei danzatori, come in un tributo di carne e forme, rappresenterà, si intreccerà con gli attori sospesi nella loro dimensione di spettri, ontologici tributi al non essere. Terra, acqua, legami fisici saranno oggetti scenici che disegneranno “l’orrido campo” di amore che corrode le carni. Le musiche barocche di Henry Purcell, tratte dall’opera omonima e interpretate dal celebre e storico mezzo soprano Tatiana Troyanos, edizione epica, renderanno il clima al limite dell’inverosimile. La parola si fa scultura e il dramma tra urla e intima ossessione disegnerà nell’orchestra di corpi nudi, la sinfonia cacofonica di una musica fuori dal tempo.
A cosa ti stai dedicando ora e quali sono i tuoi prossimi impegni?
La prossima produzione sarà il tentativo di riscrivere, sempre per il teatro danza, che è un linguaggio ricco di suggestioni ed emozioni telluriche, il dramma delle supplici, forse la meno riuscita e meno poetica opera di Euripide. Vorrei provare a scavare nel dramma del corpo, nella sua silenziosa religiosità, nel suo sforzo di farsi manifesto psicodinamico di ogni contrasto. Corpo vivo e corpo dilaniato, corpo insepolto e corpo oggetto d’amore, corpo materiale e corpo spirituale. Pacifismo santo, ma inerme innanzi al tiranno e bellicismo portatore di salvezza, ma a caro, troppo caro prezzo. La maternità, l’amore più sensuale e la religiosità più inconsulta si mescoleranno fino a capovolgere i punti di vista, le chiavi del razionale.
C’è spazio per il tuo lavoro in Italia?
Non lo so, francamente, se una drammaturgia sperimentale così spinta fino ai paradossi, mescolata alla danza più armonica e insieme più immobile come quella bausch, possa trovare ancora spazio in Italia, ammesso l’abbia mai avuta; ma un grande maestro una volta mi ha insegnato che c’è un solo modo per fare teatro: fare teatro.
La Calabria ama l’arte…
La Calabria ama e odia tutto e tutti e, spesso, inconsapevolmente ed è in ciò la carica rivoluzionaria ed eversiva del teatro… fare coscienza, fare massa critica di consapevolezza.
Qual Autore, a livello internazionale, vorresti conoscere per potergli stringere la mano?
Gli autori a cui vorrei stringere la mano sono morti e alcuni da più di qualche millennio, ma se parliamo di autori, come corpi viventi d’arte, allora, Marina Abramovic si può considerare la più avanguardistica opera d’arte vivente.
Come medico che ama il teatro, cosa consiglieresti a un giovane che vuole diventare scrittore o regista ?
Per rispondere sono costretto, non senza qualche forma di pudore, a citare De Andrè che cita Benedetto Croce: “Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest'età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d'arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l'esuberanza creativa”… bene io mi sono rifugiato nella drammaturgia.
Con tanto lavoro che svolgi e ti prende tempo, riesci a trovarne anche per altro? per la famiglia? gli amici? l’amore?
Quel tanto che basta per non apparire misantropo (non sta bene ostentare) senza troppo togliere alla misantropia che c’è in me (non sta bene mistificare).
Un sogno nel cassetto?
Nessuno, mi ostino a tenerceli tutti fuori.
Redazione Napoli Cultural Classic
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