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James Franco... l'attore scrittore
IL POLIEDRICO ATTORE PARTORISCE UN ALTRO LIBRO "IL MANIFESTO DEGLI ATTORI ANONIMI": "C'È MOLTO DI ME, MA IO NON MI SONO MAI FATTO DI EROINA NÉ HO INVESTITO UN CANE"
Il romanzo lo ha scritto mentre studiava scrittura alla Columbia University - Regista, attore, sceneggiatore, scrittore, modello, Instagram-star, turbatore di adolescenti (ambosessi). "Gli argomenti che mi interessano di più come scrittore sono la giovinezza e la recitazione"...
1. L’IMPORTANZA DI ESSERE FRANCO
Gemma Gaetani per “Libero quotidiano”
Esce oggi il nuovo libro di James Franco, Il manifesto degli attori anonimi (Bompiani, pp. 198, euro 19,50). Fa seguito alla bella raccolta di racconti In stato di ebbrezza, tradotta nel 2012 da Minimum Fax. E ci conferma che James Franco intrattiene un certo legame d’amore con la letteratura. È tipico di molti artisti misurarsi con più di una disciplina. Lo è anche di molte persone che artiste poi non sono.
Girava tempo fa sui social un meme (una foto con didascalia ironica) che recitava più o meno: «Non sei un poeta, non sei un intellettuale, non sei una modella, non sei una chef. Hai soltanto un accesso ad Internet», per riportare alla realtà tutti quelli che grazie alla condivisione sui social dei propri rigurgiti d’aspirazione artistica (non riusciti), si sentono artisti... Non è proprio il caso di Franco. Regista, attore, sceneggiatore, scrittore, modello, star maschile più originale di Instagram. Come si direbbe ad una annoiata tavolata romana in stile Grande bellezza, è una bella testa.
È indubbio che possieda un talento multiforme e smisurato. Come un piccolo Re Mida trasforma in arte - e in notizia - tutto ciò che tocca. E non vi riesce perché si confronta con piccoli obiettivi: ha in progetto di trarre un film da American tabloid del grande James Ellroy, il romanzo del 1995 che ne inaugurava la trilogia americana tramite un potente spaccato degli anni Sessanta fino all’omicidio di John Fitzgerald Kennedy.
Anche il Manifesto è un particolare romanzo, destrutturato ma interessantissimo, che mescola la forma del manifesto alla Dogma 95 con i dodici passi degli Alcolisti Anonimi. E poi, però, ogni passo è una parte narrativa, oppure contiene i pensieri di James Franco su recitazione, cinema, star system e perfino amore («La gente che si mette in un angolino e aspetta “la persona giusta" di solito una volta che la trova è così ossessionata che mette talmente tanta pressione alla relazione da ucciderla») o aforismi esistenziali di livello zen («Vuoi essere interessante? Sii interessato»).
D’altronde James Franco, 37 anni lo scorso 19 aprile, è genialmente poliedrico. Non soltanto come attore, veste in cui con estrema nonchalance passa da interpretazioni di potente tono drammatico come in Milk o nell’ultimo film di Paul Haggis, Third person, ai film comici come Strafumati. O Facciamola finita, nel quale interpretava se stesso, insieme con molti altri che interpretavano se stessi come Emma Watson e Rihanna, un’indimenticabile follia cinematografica demenzial-catastrofica che terminava con un concerto dei Backstreet Boys in Paradiso.
Scatenò un caso internazionale col film satirico The Interview, che interpretò e produsse: i nordcoreani si sentirono oltraggiati e provocati perché della trama la Cia coglieva l’occasione dell'intervista di un produttore e presentatore di talk show a Kim Jong-un per trasformarla in una missione omicida. Cielo, giovedì scorso, ha trasmesso Kink, il documentario di Christina A. Varos voluto e prodotto dallo stesso James, che si incuriosì quando si trovò a girare alcune scene del film About cherry (del 2012) a San Francisco presso Kink, la Internet pornography company specializzata in BDSM e fetish.
È vulcanico, talentuoso e come i veri artisti ha una sua poetica. Essere James Franco. D’altronde tra i suoi primi ruoli ci fu la serie tv Freaks and Geeks, alla fine degli anni Novanta. Un po’ mostro, almeno nel senso di mettersi in mostra con rara spontaneità priva di filtro, lo è (si legga il Manifesto o si scorra il suo profilo Instagram). Eccentrico pure.
2. COM'È DIFFICILE ESSERE GRANDI A HOLLYWOOD
Tiziana Lo Porto per "il Venerdì - La Repubblica"
Ho conosciuto James Franco quando ho tradotto il suo primo libro, In stato di ebbrezza (minimum fax, pp. 192, euro 14) durante una telefonata in cui gli chiedevo se potevo cambiare il nome di un personaggio minore (suonava meglio) e lui mi diceva «sì sì, cambia pure tutti i nomi che vuoi». Ci siamo visti qualche volta tra l’America e l’Italia.
Poi l’anno scorso, nel camerino del Longacre Theater di Broadway, dopo una delle circa centocinquanta repliche di Uomini e topi diretto da Anna D. Shapiro in cui lui interpretava George, gli ho detto che avrei voluto tradurre anche il suo secondo libro, Il manifesto degli attori anonimi (in libreria dal 23 aprile per Bompiani, pp. 312, euro 19,50, qui a destra la copertina). E poi l’ho tradotto.
Il manifesto degli attori anonimi è un romanzo non convenzionale. Voci narranti e protagonisti delle storie sono un presunto gruppo di attori, accomunati dal mestiere, che si alternano nel raccontare episodi delle loro vite private e storie che accadono a Hollywood. Finzione e realtà si alternano nei capitoli, scardinando la tradizionale struttura del romanzo, e rendono impossibile al lettore capire cosa sia vero e cosa no, quanto di autobiografico ci sia dentro il libro, in che modo e misura realtà e finzione siano funzionali a raccontare una storia, quanto la recitazione sia d’inciampo (o aiuti) a essere autentici nella vita.
Quanto c’è di vero nel suo romanzo?
«C’è molto delle esperienze che ho avuto quando da giovane tentavo di fare l’attore a Hollywood e frequentavo scuole di recitazione. Di vero c’è che dopo aver mollato gli studi alla UCLA ho lavorato da McDonald’s, ma a differenza di uno dei protagonisti del libro non mi sono mai fatto di eroina né ho mai investito un cane. Ho usato alcune cose prese dalla mia vita e ho cambiato i dettagli per migliorare le storie».
Quando lo ha scritto?
«Quasi tutto quando ero alla Columbia per il mio master di scrittura. Ho iniziato a scriverne piccoli pezzi, senza sapere come avrei fatto a unirli. Sapevo di avere un tema, e che se avessi scritto un po’ di cose usando anche stili diversi alla fine avrei trovato come metterle insieme».
I
l tema era Hollywood?
«Sì, era da un po’ che volevo scriverne. Gli argomenti che mi interessano di più come scrittore sono la giovinezza e la recitazione, detto altrimenti il diventare adulti e Hollywood. Il mio primo libro, In stato di ebbrezza, era sul diventare adulti, questo secondo è su Hollywood. Scrivendolo mi sono reso conto che la recitazione era un modo per parlare più in generale dello stare al mondo. E alla fine è diventato un libro che non parla solo di attori, ma della vita».
È più facile inventare o raccontare la realtà?
«Quando scrivi non c’è molta differenza. È vero che se racconti la realtà devi attenerti ai fatti, ma chiunque abbia girato un documentario sa che il modo in cui vengono presentati i fatti è un atto creativo. Con la recitazione è la stesso: per costruire un personaggio veramente esistito parti dalla realtà e poi t’inventi un modo per presentarla».
Fiction o non-fiction: cosa ama di più leggere?
«Nessuna preferenza. Leggo libri a tonellate e hanno tutti qualcosa di valore».
I
suoi cinque libri di non-fiction preferiti.
«In nome del cielo di John Krakauer, Walt Disney di Neal Gabler, I Wear the Black Hat di Chuck Klosterman, Parla, ricordo di Vladimir Nabokov. E soprattutto Fame di realtà di David Shields, un libro manifesto sulla letteratura non-fiction, costruito come un collage di pezzi di altri libri, che scardina le forme tradizionali del romanzo».
Il libro di Shields ha influenzato il suo Manifesto degli attori anonimi?
«Sì, e anche molto. È un libro affascinante. Non è che dica niente di nuovo, l’idea del collage era già stata usata da altri, così come quella di mescolare forme e stili differenti, da Henry David Thoreau a Herman Melville o Washington Irving. Il suo valore aggiunto è tenere esplicitamente al centro di tutto la non-fiction, facendola diventare contenuto e forma, e anche fonte per chiunque voglia cimentarsi con questo tipo di scrittura».
Di recente ha anche diretto un documentario dal nuovo libro di Shields, I Think You’re Totally Wrong: A Quarrel...
«David Shields è stato mio insegnante di scrittura al Warren Wilson College e siamo diventati amici. Da studioso cerca sempre nuovi modi per allargare il suo campo, ed è un grande appassionato di documentari. Ho letto il suo libro e pensato che fosse perfetto per farne un film, e che fargli interpretare le sue stesse idee fosse un modo per permettergli di renderle ancora più attuali».
Ha diretto due film tratti da Faulkner (Mentre morivo e L’urlo e il furore) e Figlio di Dio da Cormac McCarthy, e in questo momento è in Georgia a dirigere La battaglia da Steinbeck. Con autori di questa portata, come si fa a stabilire il giusto equilibrio tra fedeltà al testo e autorialità nella regia?
«Non bisogna mai essere troppo fedeli. Cambiare non significa fare un brutto fim o tradirne lo spirito. Pensi a I protagonisti di Robert Altman: in certe cose è stato fedele, in altre ha cambiato parecchio il libro di Michael Tolkin. E restano comunque un ottimo film e un grande libro. Io giro i miei film rimanendo fedele allo spirito dei romanzi da cui sono tratti, ma usando tecniche contemporanee per catturarne lo stile. Li giro oggi e non ottant’anni fa, e posso anche ispirarmi alla televisione o a un reality show perché siano anche più fedeli al modo in cui è stato scritto un libro».
F
aulkner o Steinbeck, chi preferisce?
«Bella lotta. Per me sono due figure paterne, ho iniziato a leggerli al tempo del liceo e i loro libri mi hanno fatto da guida in un periodo in cui cercavo di capire chi ero. Li sento come parte della mia identità, e arrivati a questo punto i loro personaggi sono vecchi amici».
Sul set di La battaglia sta scrivendo dei diari?
«No, forse dovrei. Anche se i diari sono interessanti quando le cose vanno male, quando è sul set che si svolge il dramma. Io sono fortunato, e felice di tenere solo sullo schermo tutto il dramma dei miei film».
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