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perfetti sconosciuti...da Oscar
IL REGISTA DI “PERFETTI SCONOSCIUTI”: “IL DAVID COME MIGLIOR FILM E’ LA PROVA CHE ANCHE LE COMMEDIE POSSONO VINCERE - AL TRIBECA FESTIVAL ACCOLTI QUASI MEGLIO CHE IN ITALIA - UN SEQUEL? PENSO DI NO”
“Al Tribeca Festival è stato un momento importante perché il mio film è la prima commedia italiana presentata in concorso, applausi e risate a scena aperta. Il film è stato capito ed è arrivato al pubblico tra cui sedevano anche produttori importanti come Harvey Weinstein e Luc Besson”… -
Pedro Armocida per “il Giornale”
Una commedia, Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, ha vinto i David di Donatello come miglior film e miglior sceneggiatura. Un film di supereroi all' amatriciana, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, ha ottenuto invece sette statuette in categorie importanti. È evidente che, a parte la mancanza di Checco Zalone, vuoi per l' ingresso di Sky, vuoi per una particolare congiuntura, i premi dell' Accademia del cinema italiano siano stati quest' anno particolarmente sorprendenti.
Naturalmente c' è già chi grida allo scandalo senza però considerare che questi riconoscimenti non vogliono segnare una cesura tra cinema d'autore, «che fa pensare» come ha detto il presidente Mattarella, e cinema popolare, quanto invece segnalare una certa positiva varietà, e qualità, dei film di quest' anno.
Così, in un mondo non certo perfetto (tra i titoli di valore dimenticati ricordiamo Bella e perduta di Pietro Marcello), si può essere contenti sia per Matteo Garrone migliore regista con Il racconto dei racconti - Tale of Tales, sia per Perfetti sconosciuti, miglior film in una cinquina importante con titoli come Fuocoammare di Gianfranco Rosi, Non essere cattivo
APPENA I DAVID ESCONO DALLA RAI DEL 'MODERNO' CAMPO DALL'ORTO E VANNO SU SKY, SMETTONO DI ESSERE UNO STRAZIO - GRASSO DOLENS: ''NON DARE UN DAVID A ZALONE SIGNIFICA VOLER MALE AL CINEMA''
Grasso: ''Bisognerebbe evitare gli interventi di Placido o le gag di Pannofino, occorrerebbe un po' di entusiasmo dalla funebre Valeria Golino, fare a meno dei predicozzi finto-poetici di Saviano, poi ci siamo. Bene gli smoking, bene le clip dei Jackal, bene la produzione di Magnolia, bene la sigla finale di Battiato''...
1. DAVID DI DONATELLO E LA LEZIONE ALLA RAI
Lettera di Massimo Scarafoni a “la Repubblica”
Sicuramente Antonio Campo Dall’Orto, in quanto ad della Rai, avrà seguito con attenzione la serata di premiazione dei David di Donatello per il cinema trasmessa live su Sky. E si sarà chiesto perché in tanti decenni di gestione Rai dell’appuntamento con i David non si sia mai visto neanche lontanamente un intrattenimento simile. Questa conduzione agile e ironica, diciamo pure frizzante e modernissima del presentatore Alessandro Cattelan, la passerella di premiati e premianti euforizzati dallo spirito di festa e di omaggio al cinema, dall’efficienza registica e dalla promozione lanciata con cura da settimane.
E gli intermezzi con interviste, spezzoni, memorabilia e omaggi emozionanti come quello di Pif a Scola. Insomma quando il mezzo televisivo sa inglobare e valorizzare i contenuti e i volti di un altro mezzo d’espressione ad alto tasso di valore artistico ed iconico, registi, attori, scenografi e direttori di fotografia da premio Oscar.
E con l’eleganza finalmente del dress code, l’abito scuro come le migliori manifestazioni internazionali. Campo Dall’Orto, che si è fatto le ossa e diretto con molto merito reti televisive innovative e creative, avrà capito bene le differenze e forse anche le ragioni per avere lasciato migrare ad altri lidi un tale patrimonio di cultura e di intrattenimento.
2. L’ASSENZA DI ZALONE
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Premessa: non dare un premio a Checco Zalone significa voler male al cinema italiano. David di Donatello in versione Sky Cinema. Ci voleva tanto a copiare gli Oscar, a ispirarsi a un qualche modello più alto della fiera di paese? Finalmente uno show con qualche senso e maggior ritmo, grazie soprattutto alla bravura professionale di Alessandro Cattelan. Se penso alle precedenti edizioni dei David di Donatello, lunedì sera pareva di essere in un altro Paese, nonostante la logorroica tendenza da parte dei nostri artisti a sforare.
Totò, nelle autorevoli vesti del pittore Scorcelletti ( Totò, Eva e il pennello proibito , 1958), affermava con risolutezza che «creare è facile, difficile è copiare». E infatti nel regno dei media il valore e il significato di parole come «originale» o «nuovo» illanguidiscono miseramente, penzolano nell' abisso virtuale. In molti casi bisogna avere solo il coraggio di copiare, ma di copiare bene.
La serata ha ancora bisogno di aggiustamenti : andrebbe un po' «deromanizzata», bisognerebbe evitare gli interventi «creativi» di Michele Placido o le gag di Francesco Pannofino, occorrerebbe che qualcuno spingesse all' entusiasmo Valeria Golino (su, non è un cerimonia funebre!), sarebbe necessario spezzare quel circolo vizioso dei ringraziamenti (Garrone ringrazia Servillo, Servillo ringrazia Sorrentino, Sorrentino ringrazia…), si potrebbe tranquillamente fare a meno dei predicozzi finto-poetici di Roberto Saviano (spot occulto per «Gomorra 2»?), poi ci siamo. Oddio, se anche la platea dimostrasse un po' più di partecipazione e meno ostilità (invidia?), tutto andrebbe meglio.
Bene gli smoking, bene le clip dei Jackal, bene la produzione di Magnolia, bene la sigla finale con «La cura» di Battiato (ogni riferimento al cinema italiano è puramente casuale). Conclusione: ma perché l' Accademia del Cinema Italiano si ostina a non premiare Checco Zalone? Vigeva l' interdetto persino sul suo nome.
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