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NICHOLAS RAY, IL REGISTA DI "GIOVENTU' BRUCIATA" RICORDA JAMES DEAN
''UN RAGAZZO IMPOSSIBILE CHE VIVEVA NEI CAMERINI DELLA WARNER CON IL REVOLVER, UN SOLITARIO CAPACE DI TENEREZZA E CRUDELTA', DETERMINATO A NON ESSERE AMATO PER PAURA DI ESSERE ABBANDONATO'' - DALL'AMORE PER IL JAZZ A QUELLO PER LA VELOCITA'
Nicholas Rey per “Daily Beast”
Il 30 settembre 1955 moriva James Dean. In occasione del 61° anniversario dalla morte pubblichiamo il ritratto che ne fece nel 1956. Nicholas Ray, il regista di “Gioventù bruciata”.
“L’ultima volta che vidi James Dean fu quando arrivò senza avviso alla mia casa di Hollywood, alle tre del mattino. Ci eravamo visti a cena e avevamo parlato di progetti futuri, poi è riapparso con un gatto siamese regalato da Elizabeth Taylor, chiedendomi in prestito un libro sul comportamento felino.
La prima volta che lo incontrai fu nel mio ufficio alla “Warner Bros”, si presentò sempre senza avviso. Pensai che sembrava un gatto siamese: mi girava intorno, mi annusava, se non gli piacevo se ne sarebbe andato. Aveva la sua indipendenza, alternava docilità e irrequietezza. Le sue azioni erano di una creatura mai davvero addomesticata, che porta con sé ricordi atavici o intuizioni di una vita più libera.
Non è a suo agio nel mondo in cui vive, a volte lo rifiuta ma ci torna sempre, perché non ne esiste un altro. Jim Stark e Jimmy Dean per molti erano la stessa persona. Nella vita vera, lo erano a tratti. Entrambi bramavano risposte e cercavano una via d’uscita. Quella che trovò Dean fu totale e assoluta, in realtà si stava preparando più a quella di Jim Stark.
In camerino alla Warner infatti aveva una Colt .45. Lì ci viveva. Arrivò a Hollywood senza intenzione di appartenere ad un luogo preciso. Venne qui per lavorare e rimanere se stesso.
Di notte, tornava solo in questo regno vuoto e forse il revolver era un simbolo: si proteggeva da solo, dagli altri. Guidava la moto, anche questo un modo per stare in solitudine, e non si sbarbava per giorni. Si vestiva a caso, era sempre disordinato. Il suo look non era da ribelle, era da povero: andare al lavoro in t-shirt e jeans era un modo per risparmiare in lavanderia non un manierismo.
Quando un giorno il revolver sparì dal camerino, diventò furioso. In seguito lo mandarono via dal camerino, perché viverci anche di notte era contro le norme di sicurezza. Il giorno dopo, per dispetto, lui prese tutte le targhe con numeri e nomi sulle porte degli uffici Warner, le spostò e le gettò nelle fontane, poi se ne andò in moto giurando di non fare più film in quel posto. Gli avevano tolto il suo angolo preferito, e i gatti sono orgogliosi.
James Dean mi fu segnalato da Elia Kazan, che lo riteneva un “ragazzo impossibile”. Non gli offrii subito la parte di Jim Stark e quando lo feci, lui non accettò subito. Litigava sempre con i registi. Se non lo comprendevano, le sue espressioni si congelavano. Si chiudeva totalmente. Faceva invece amicizia presto con i tipi solitari e sofferenti. Ogni tanto ne “adottava” qualcuno e lo portava con sé, anche sul lavoro. Si avvicinava a chiunque con curiosità, tirava fuori antenne invisibili. A volte aveva una tenerezza straordinaria e percezioni premonitrici, come quando disse a una mia coppia di amici: “Non potete avere figli?” senza che sapesse che avevano appena adottato un bambino.
Jimmy andò a vivere al quinto piano della 68° a New York. Senza ascensore. L’appartamento era zeppo di libri e dischi: musica tribale africana, musica cubana, jazz,Haydn, Berlioz. Suonava i bonghi e la batteria. Dava risposta immediata ai ritmi vitali. Il jazz, la velocità, la tauromachia, tutte passioni che condividevano la qualità della ricerca.
Non amava stare fra la gente. La gente lo faceva sentire insicuro e allora si cercava il suo angolo di malinconia. Era lunatico, la depressione andava e veniva, come l’esaltazione. Era impossibile prenderlo, Jimmy. Determinato a non amare e a non essere amato. Era affascinato, assorbito attratto dalla bellezza ma non ci si sarebbe mai abbandonato. Non voleva rischiare di soffrire.
Non si fidava di nessuno, riusciva ad essere crudele. Desiderava appartenere a qualcosa ma temeva di appartenere a qualcosa. Come Jim Stark. Forse perché aveva perso sua madre da piccolo o perché idolatrava Lord Byron. L’intensità del suo appetito lo rendevano vorace, arrogante, egocentrico, ma nascondevano una disperata fragilità .....
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