INTERVISTA EITAN PITIGLIANI
Quale è secondo te il giorno lavorativo perfetto?
Sicuramente, il giorno lavorativo perfetto è per me quello che parte molto ma molto presto la mattina. Mi piace infatti svegliarmi, quando riesco, verso le 5, anche le 4 se riesco, e uscire subito di casa per vedere la città che piano piano comincia a prendere vita e colore. Credo questo sia il miglior modo di attivarsi e di entrare in contatto con la vita reale, che porta poi la mente a volare e a creare, per scrivere e raccontare le storie più diverse. Certamente, per un regista, la giornata proprio perfetta perfetta è quella in cui può passare più ore possibili sul set e vivere insieme ai suoi attori e alla troupe la storia del film che sta creando.
Cosa spinge un bravo regista come te verso le produzioni internazionali.
In realtà, non saprei darti una sola risposta a questa domanda. Infatti, se da una parte credo che le produzioni internazionali abbiano un occhio più lungo nello sviluppo di un progetto - in relazione all’outcome del prodotto artistico in sé, alla risposta del pubblico e, ‘last but not least’, al mercato cinematografico internazionale - dall’altra amo profondamente il cinema italiano, soprattutto quello di una certa produzione nazionale, per lo più quella dei film d’autore, ma non solo, per cui mi resta difficile dare una risposta netta a questa domanda. Sicuramente, il film internazionale ha un più ampio respiro, sia di concettualizzazione, che di riprese, che di lancio finale, in quanto, per motivi storici che non abbiamo qui il tempo di affrontare esaustivamente, un film in lingua inglese, spagnola, francese, hanno un bacino di utenza molto più ampio e quindi, ab origine, sono prodotti di più facile realizzabilità. Questo ovviamente non preclude la qualità, in quanto in Italia, come è accaduto in passato, siamo ancora perfettamente in grado di dar vita a film meravigliosi, che scrivono la storia del cinema, non solo nazionale, e che restano nel cuore del pubblico. Pensando agli ultimi anni, ce ne sono stati di film bellissimi. Uno su tutti, ‘Non Essere Cattivo’ di Claudio Caligari, che per me è un vero e proprio ‘milestone’ dell’odierna cinematografia italiana, un film che rappresenta la vera anima del nostro Paese, un film che non vive solo nel suo tempo in sala, ma ha una vita propria, a sé, che va molto oltre, appunto, il tempo filmico, come fosse un’espressione intrinseca di una sorta di spirito divino. Credo che la vera arte sia questo, e che il cinema italiano, quanto quello internazionale, debba andare in questa direzione, per riportare il pubblico al cinema, e fargli vivere esperienze vere e ricche di valore, piuttosto che somministrargli solo intrattenimento, che poi lascia il tempo che trova, rischiando di allontanare il pubblico dall’arte per eccellenza, il Cinema.
A chi sei più grato per la tua passione artistica?
Quello della gratitudine è per me un aspetto fondamentale. Nel bene, come nel male, non saremmo chi siamo se non fosse per il nostro passato, che è la strada del nostro futuro. Per questo, ci guida, in un modo o nell’altro, con più o meno difetti, ha un’importanza fondamentale nella nostra vita e ricordarne il valore è un buon reminder per migliorare sempre, giorno per giorno, come uomini e come artisti. Sicuramente devo molto alla mia famiglia, grazie alla quale ho cullato questa passione sin da quando ero piccolo – guardavano film per ore ed ore ed ore, senza un attimo di sosta, da Pinocchio di Risi ai film di Ettore Scola a quelli di Scorsese ad Ang Lee ad Almodovar, etc. Ore ed ore di film, di storie e di racconti, che hanno sicuramente dato un forte impulso a quella che era la mia indole, quella di rappresentare e raccontare storie attraverso immagini e musica. Nel mio percorso artistico invece, devo sicuramente molto a tante persone, che sono state e sono tutt’oggi una grande fonte di ispirazione per me, una su tutte Enrico Mastracchi Manes, un produttore fantastico, che ha creduto in me sin dall’inizio e che ha reso possibile la realizzazione di Like a Butterfly.
Le opere cinematografiche indipendenti e d’autore hanno ancora futuro nel nostro Paese?
Si, assolutamente, sì, e credo che siano il vero cuore del nostro cinema, ma soprattutto quello di cui il pubblico, forse pur senza esserne conscio, ha davvero bisogno. La formula magica, che alcuni film hanno trovato, è quella di realizzare un prodotto d’autore dandogli però al contempo un passo narrativo forte e inserendoli all’interno di un cinema di genere, che il pubblico, come l’industria cinematografica stessa, tende a privilegiare.
C’è qualcosa che hai sognato di fare e non hai fatto?
Ah, moltissime cose. Ci vorrebbe un’intervista a parte.
Qual è la più grande soddisfazione artistica della tua vita?
Ad ora, aver incontrato uno dei miei miti, italiano, un grande personaggio dello sport, sul quale ho scritto un film, che spero di riuscire a realizzare nei prossimi anni. Invece, una soddisfazione giù avuta e, in un certo senso, un sogno già avveratosi, è stata sicuramente quella di vedere un grande attore come Ed Asner, una vera e propria leggenda, dare vita, corpo ma soprattutte voce, ad un personaggio scritto da me (assieme ad Alessandro Regaldo) e sul quale ho fantasticato per molto tempo. Quella è stata sicuramente la più grande emozione artistica del mio percorso fino ad oggi.
Cosa conta di più nell'amicizia?
L’amicizia è un valore importantissimo - non riuscirei a nominare tutti i grandi pensatori e filosofi che ne hanno parlato nel corso dei secoli – e rappresenta, secondo me, il momento più alto del percorso di vita di una persona, sicuramente la principale fonte di ispirazione delle storie che ho raccontato e che voglio raccontare, e forse di tutto quello che è il mio pensiero cinematografico, in quanto considero l’amicizia, al suo livello più ‘elevato’, è una vera e propria forma d’amore. Credo infatti che noi tutti siamo parte di un unico spirito, che si divide in tante piccole parti, che spesso si guardano, si toccano e si riconoscono – un po’ come le affinità elettive di Goethe, ecco per citarne uno. Per questo, l’amicizia è fondamentale, direi anzi essenziale, per il nostro percorso come essere umani e come – in fondo tutti lo sono, ognuno a suo modo – artisti. Riconoscere in un’altra persona un qualcosa che tocca la nostra anima e ci porta a prendercene cura e ad empatizzare con essa, è il primo passo del cammino verso quella luce che è, visivamente quanto simbolicamente, elemento centrale e fondamentale dei miei film e delle storie che intendo raccontare. L’amicizia è, diciamola così, il faro che indica la strada verso quel mare di luce che ci porta ad essere, prima che artisti, veri uomini, che nella vita mettono il bene altrui sullo stesso piano di quello per se stessi. Questo è, secondo me, il più profondo insegnamento che l’amicizia regala.
Quest’anno il tuo film breve “ Like a Butterfly” è stato presente al festival CortiCulturalClassic2017 di Napoli diretto da Massimo Andrei, riscuotendo una grande successo di pubblico, personale e di critica e, portandosi a casa la statuetta come miglior corto 2017….raccontaci ….
Che dire? È stata una serata magnifica, non soltanto per la cornice nella quale ha avuto luogo, ma soprattutto per l’evento in sé, e per il profumo d’arte e di cinema che si respirava nell’aria. D’altronde io, che ho origini campane, so benissimo che quella napoletana è una terra speciale, ricca d’amore, arte e passione. Per questo, vedere il mio film apprezzato e applaudito dal pubblico napoletano, e poi anche premiato, da una giuria di così alto spessore, come quella presieduta da Massimo Andrei, è stato per me un grande onore. Sono anche molto felice perché in quella serata, oltre al miglior corto e al premio internazionale per i due attori protagonisti, Ed Asner e Will Rothhaar, Like a Butterfly è stato premiato anche per la miglior colonna sonora, composta dal M° Paolo Vivaldi - un amico fraterno ancor prima che il compositore con cui collaboro da anni - le cui musiche hanno dato al film un quid in più, rappresentandone la vera anima, l’anima di quella farfalla che vola libera nel grande, immenso, cielo della vita.
Che cosa è troppo serio per scherzarci su?
Troppo serio per scherzarci su? Domanda molto complessa. In realtà credo che sia tutto troppo serio e complicato nella vita, e che per parlare davvero di una situazione con cognizione di causa, bisogni prima analizzarla a fondo, non considerando soltanto la fotografia scattata al momento, ma cercando di andare a capire come quella fotografia si è creata, nel tempo, il che è un percorso molto complesso. Per cui si, per riallacciarmi alla tua domanda, credo spesso sia meglio scherzare, soprattutto su se stessi – una sana autocritica e autoironia secondo me sono d’obbligo, oltre che fonte delle migliori idee – proprio come l’arte napoletana, dal teatro alla pittura, al cinema, ci ha insegnato nel tempo. Credo infatti che, in Italia, Napoli sia un importantissimo centro di cultura, che ha dato un impulso strepitoso, eccezionale, alla letteratura, alla storia, al cinema, all’arte in generale, e alla stessa Storia del nostro Paese – ricorre tra l’altro in questi giorni l’anniversario delle 4 Giornate di Napoli.
I tuoi prossimi impegni..
I prossimi impegni sono tanti, troppi, e forse direi, scherziamoci un po’ su. No, a parte gli scherzi, ci aspetta a breve l’uscita di Insane Love, il mio ultimo lavoro, girato a Roma la scorsa primavera, con un cast giovanissimo, composto da Filippo Gattuso, Miriam Dalmazio, Clara Alonso - la famosissima ‘Angie’ della serie Violetta – Diego Dominguez, e l’étoile, primo ballerino dell’Opera di Vienna, Davide Dato, alla sua prima apparizione sul grande schermo. E’ curioso che, ora che ci penso, quasi come una sorta di continuazione di quella magia che si è creata nell’evento di Napoli - in questo ultimo film, Insane Love, c’è una forte componente napoletana, che ha dato al film una forte emotività e passione. Insane Love, il cui progetto è stato presentato in conferenza stampa all’Italian Pavilion alla 74 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, è infatti prodotto da una società di produzione napoletana, la Paradise Pictures di Giuseppe Alessio Nuzzo, e inoltre si avvale delle coreografie di Anna Cuocolo, un’artista e coreograda straordinaria, romana di adozione ma nata a Napoli, grazie alla quale la danza è riuscita a rappresentare perfettamente, con la sua passione e la sua prorompenza, l’anima del film, in un connubio e una compenetrazione tra danza e recitazione che, sulle musiche, ancora una volta, del M° Paolo Vivaldi, ha dato al film quell’anima che che io stesso avevo immaginato sin dalla fase di ideazione e scrittura della sceneggiatura. La danza, che si fonde nel cinema, con un attore ‘dancing while acting’ e un ballerino che ‘acting while dancing’, credo sia non solo una delle novità che questo film breve porta, ma anche un momento importante del mio percorso registico, che sicuramente nei progetti successivi manterrà questo profumo tutto particolare, speciale direi, nato dalla commistione tra cinema e danza.
Insane Love è un momento molto importante per me, sia come persona che come regista. Non è soltanto un film cui tengo molto e che ho voluto realizzare e dedicare a tutti quei giovani ragazzi di oggi che non riescono a vivere una storia d’amore sana perché annientati dal mondo virtuale di oggi – da cui tutti siamo avvolti – ma anche perché rappresenta l’ultimo step del percorso che porta al primo lungometraggio, sul quale sto attualmente lavorando alla cui sceneggiatura, che sarà pronta a breve. Spero di aver modo di presentare presto un nuovo film al pubblico napoletano, il cui calore e amore restano per me un momento di grande emozione. Ringrazio ancora la Napoli Cultural Classic per questa bellissima esperienza.