Rigoroso nella forma e nell'esecuzione, un dramma poetico che risponde alle grandi domande sul mondo In un'isola del Mare Nostrum, Filippo, un ventenne orfano di padre, vive con la madre Giulietta e il Nonno Ernesto, un vecchio e irriducibile pescatore che pratica la legge del mare. Durante una battuta di pesca, Filippo ed Ernesto salvano dall'annegamento una donna incinta e il suo bambino di pochi anni. In barba alla burocrazia e alla finanza, decidono di prendersi cura di loro, almeno fino a quando non avranno la forza di provvedere da soli al loro destino. Diviso tra la gestione di viziati vacanzieri e l'indigenza di una donna in fuga dalla guerra, Filippo cerca il suo centro e una terra finalmente ferma.
Terraferma è la terza opera che Emanuele Crialese dedica al mare della Sicilia in un'instancabile ricerca estetica avviata con Respiro nove anni prima. Come Conrad, Crialese per raccontare gli uomini sceglie “un elemento altrettanto inquieto e mutevole”, una visione azzurra ‘ancorata' questa volta al paesaggio umano e disperato dei profughi. Sopra, sotto e intorno a un'isola intenzionalmente non identificata, il regista guarda al mare come luogo di infinite risonanze interiori. Al centro del suo ‘navigare' c'è di nuovo un nucleo familiare in tensione verso un altrove e oltre quel mare che invade l'intera superficie dell'inquadratura, riempiendo d'acqua ogni spazio. Dentro quella pura distesa assoluta e lungo il suo ritmo regolare si muovono ingombranti traghetti che vomitano turisti ed echi della terraferma, quella a cui anela per sé e per suo figlio la Giulietta di Donatella Finocchiaro. Perché quel mare ingrato gli ha annegato il marito e da troppo tempo è avaro di pesci e miracoli. Da quello stesso mare arriva un giorno una ‘madonna' laica e nera, che il paese di origine ha ‘spinto' alla fuga e quello ospite rifiuta all'accoglienza. La Sara di Timnit T. è il soggetto letteralmente ‘nel mezzo', a cui corrisponde con altrettanta drammaticità la precarietà sociale della famiglia indigena, costretta su un'isola e dentro un garage per fare posto ai vacanzieri a cui è devoto, oltre morale e decenza civile, il Nino ‘griffato' (e taroccato) di Beppe Fiorello. Ma se l'Italia del continente, esemplificata da tre studenti insofferenti, si dispone a prendere l'ultimo ferryboat per un mondo di falsa tolleranza dove non ci sono sponde da lambire e approdare, l'Italia arcaica dei pescatori e del sole bruciante (re)agisce subito con prontezza ai furori freddi della tragedia. Di quei pescatori il Filippo di Filippo Pucillo è il degno nipote, impasto di crudeltà e candore, che trova la via per la ‘terraferma' senza sapere se il mare consumerà la sua ‘nave' e la tempesta l'affonderà. Nel rigore della forma e dell'esecuzione, Crialese traduce in termini cinematografici le ferite dell'immigrazione e delle politiche migratorie, invertendo la rotta ma non il miraggio del transatlantico di Nuovomondo. Dentro i formati allungati e orizzontali, in cui si colloca il suo mare silenzioso, Terraferma trova la capacità poetica di rispondere alle grandi domande sul mondo. Un mondo occupato interamente dal cielo e dal mare, sfidato dal giovane Filippo per conquistare identità e ‘cittadinanza'. Marzia Gandolfi «Terraferma» somiglia a una favola, ma solo per certi incantamenti stilistici e geografici. Il film di Crialese contrappone una famiglia di pescatori (il grande vecchio Mimmo Cuticchio, la vedova Donatella Finocchiaro, l’animatore turistico Giuseppe Fiorello, l’ingenuo Filippo Pucillo) e i migranti che, in piena stagione estiva, raggiungono sui barconi le coste dell’isola (nel film senza nome, nella realtà Linosa). Le norme vigenti vieterebbero di caricarli a bordo, ma la legge del mare dice il contrario: non si nega aiuto a chi rischia di annegare. Perciò discussioni, pescherecci sequestrati, turisti sconvolti, clandestini nascosti in garage (per salvare loro ma anche per evitare guai ai salvatori). La famiglia, che le avversità minacciano di disgregare come nei «Malavoglia» di Verga, dovrà compiere una scelta drastica.
«Terraferma» di Crialese, in gara nel concorso ufficiale e tra poco nei cinema, ha fatto storcere il naso ad alcuni critici: il messaggio sembra a tratti prevalere sulla forma. A noi sembra che «Terraferma» sia comunque anche migliore, più compatto e meno estetizzante dei precedenti film del regista, «Respiro» e «Nuovomondo». Appassiona, commuove, fa perfino sorridere (con un Giuseppe Fiorello sbruffone alla Sordi) ma il suo pregio maggiore è che riesce finalmente a raccontare un dramma che centinaia di Tg hanno reso insieme familiare e noioso. Se la sua critica alle leggi anti-clandestini venisse presa seriamente, il film di Crialese potrebbe provocare polemiche .
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