Una rappresentazione di Caligolaa Parigi nel 1941, durante l'occupazione nazistadi Albert Camus
versione in lingua italiana di Riccardo Reim
con Manuele Morgese, Alessio Di Clemente, Maria Letizia Gorga, Franco Mirabella, Massimo Lello, Adriano Evangelisti, Gianluca Merolli, Armando Iovino
regia Pino Micol
Parigi 1941: Camus ha appena terminato la stesura della seconda edizione del suo Caligola, la più bella, la più complessa, la più completa. Non è solo il Caligola politico, il tiranno in lotta con la concezione della vita e del governare dei suoi senatori, ma anche il fragile imperatore travagliato dai sentimenti, dal dolore lancinante per la morte di Drusilla, sorella e amante. Il trauma privato si riflette sulla vita politica di cui Caligola è il vertice supremo, tutto è travolto dalla follia della logica portata alle estreme conseguenze; la scoperta della morte libera l’imperatore da ogni freno e da ogni pudore, l’irrazionale irrompe e vince, trasformando ogni gesto in tirannia e sopruso. Una compagnia teatrale, appassionata, forse in difficoltà finanziarie, non certo la “Comédie française”, sta mettendo in scena questo Caligola appena scritto, mentre fuori, nella città, oltre il guscio protettivo e familiare del teatro, i nazisti hanno conquistato e invaso Parigi. Dall’esterno arriva l’angoscia degli spari, del terrore seminato dalla reale follia di Hitler, mentre sulle tavole del palcoscenico, parallelamente, si snoda la molto simile follia di Caligola, Hitler ante litteram, ma filtrata dall’arte, dalla poesia, dalla grande passione “civile” di Albert Camus.Pino Micol
Entrano uno alla volta dentro una sorta di magazzino spoglio, a debita e casuale distanza tra loro, sempre bagnati perché fuori c’è un temporale che non smette mai, e hanno l’aria d’essere gente allo sbando, rifugiati, un po’ sovversivi, comunque omertosi, clandestini, sfollati, o semplicemente anonimi, poveri cristi, malcapitati, iscritti a qualche gruppo di base. Sono attori. In un frangente bellico. Nella Parigi del 1941, mentre infuriano i tedeschi invasori. E senza far troppe chiacchiere, danno a vedere che hanno un piano già prestabilito. Recitare un dramma che Albert Camus ha ideato fin dal 1937, dando luogo a più stesure, “Caligola”. Un teatro dell’impossibile, come lo ha definito lo stesso autore. E Camus viene messo in scena in abiti stazzonati o dignitosi di tutti i giorni, di quell’epoca. Questo preludio-contenitore lo vuole il regista Pino Micol, al Teatro della Cometa.
Il clima precario del prologo, il colpo d’occhio informale, l’approccio alla buona di artisti quasi complottatori umanizza la pièce, pone un filtro romanzesco e forse un alone di sentimento condiviso su un testo che per retorica è un inno alla vertigine tirannica, è uno studio della crudeltà di un imperatore che uccideva e delirava gratuitamente in omaggio a una presunta idea irrazionale della libertà. Ecco, qui si privilegia, usando e calcando i toni di quella scrittura di Camus che nel 1945 fu censurata e tagliata lì dove indulgeva a una pazzia d’amore (amore infranto di Caligola per la sorella morta Drusilla da lui amata), qui si scommette in modo radicale e appassionato sul “mostro” che è tale “per aver troppo amato”, sulla tenerezza di un cuore profondo come un lago. Anche esagerando, con un epilogo rivolto al pubblico all’insegna d’un moto partecipe ed etico che rischia la maniera.
A calarsi nei panni di Caligola è un Manuele Morgese che a tratti accetteresti per una “medietà” non enfatica, ma al quale fa difetto un’ombra qua e là necessaria di carisma. Però in fondo tutti, nella messinscena visionaria e al tempo stesso normalizzata di Micol (già Caligola diretto da Maurizio Scaparro nel 1984), tutti sono “appestati” in tempo di guerra, con la più irrimediabile patologia affettuosa che minaccia un imperatore in pantaloni e camicia bianca, affiancato da una signorile consorte Cesonia (Maria Letizia Gorga in abiti anni ‘40 da sera), oggetto di decorosa contrapposizione da parte del lettarato Cherea (un Alessio di Clemente in distinto doppio petto), fronteggiato con irretita complicità da Scipione (un tuttofare giovane della compagnia reso da Gianluca Merolli) cui pure ha ammazzato il padre, appoggiato in ogni bizzarria da Elicone (un Franco Mirabella con sembianze di tecnico-vestiarista), circondato da senatori messi sempre in ridicolo o a repentaglio.
Uno spettacolo così corre naturalmente il pericolo di procedere secondo i binari del teatro nel teatro. Con un Borsalino sulle 23 di troppo sulla testa di Caligola, con una spossatezza di troppo da edulcorato o osceno travestimento quando l’imperatore fa il narciso pazzo, con una sequenza di troppo da film d’azione quando escono fuori i mitra dei congiuratori per far fuori il Cesare. Stante la chiave, la cornice ambientativa e attualizzante, bastavano soluzioni più povere. Però sentire un tal bel testo sull’assurdo della solitudine procura sempre un piacere. E poi, vogliamo mettere il Caligola che progetta finanziariamente di diseredare i cittadini ricchi?…