Bel Ami
La vicenda racconta l'ascesa sociale a Parigi del giovane giornalista George Duroy (Robert Pattinson) tramite la sua manipolazione delle donne più influenti e benestanti della città.
USCITA CINEMA: ProssimamenteREGIA: Declan Donnellan, Nick OrmerodSCENEGGIATURA: Rachel BennetteATTORI: Robert Pattinson, Uma Thurman, Kristin Scott Thomas, Christina Ricci, Philip Glenister, Colm Meaney, Holly Grainger, James Lance, Paul Hodge, Jake Harders, Ryan Ellsworth, Balázs CzukorRuoli ed Interpreti
FOTOGRAFIA: Stefano FaliveneMONTAGGIO: Masahiro HirakuboPRODUZIONE: Redwave Films, XIX, Protagonist Pictures, RaiCinemaDISTRIBUZIONE: 01 DistributionPAESE: Gran Bretagna, Italia 2011GENERE: Drammatico, SentimentaleFORMATO: Colore
SOGGETTO: Adattamento dell'omonimo romanzo di Guy de Maupassant.Una nuova foto di Robert Pattinson in Bel Ami
E' stata pubblicata una nuova foto di Robert Pattinson nei panni di Georges Duroy in Bel Ami, il film che vede l'attore inglese accanto Uma Thurman, Kristin Scott Thomas, Christina Ricci. Ricordiamo che il film, tratto dal celebre romanzo del francese Guy de Maupassant pubblicato nel 1885, racconta l'ascesa sociale a Parigi del giovane giornalista Georges Duroy (Robert Pattinson) tramite la sua manipolazione delle donne più influenti e benestanti della città. Il film dovrebbe uscire ad agosto in Gran Bretagna e nel corso dell'autunno prossimo in diversi paese europei. Non c'è ancora una data ufficiale del film in Italia, per ora le fan di Robert si devono accontentare di questa nuova foto:
This must be the place Cheyenne, rock star ormai ritirato dalle scene, parte alla ricerca del persecutore di suo padre, un ex criminale nazista ora nascosto negli Stati Uniti. Nel cuore dell'America, inizia così il viaggio che cambierà la sua vita. Dovrà decidere se sta cercando redenzione o vendetta.
USCITA CINEMA: 14/10/2011REGIA: Paolo SorrentinoSCENEGGIATURA: Paolo Sorrentino, Umberto ContarelloATTORI: Sean Penn, Judd Hirsch, Frances McDormand, Kerry Condon, Eve Hewson, Joyce Van Patten, David Byrne, Shea Whigham, Tom Archdeacon, Harry Dean Stanton, Seth Adkins, Simon Delaney, Gordon Michaels, Robert Herrick, Tamara Frapasella, Sarab Kamoo, Liron LevoRuoli ed Interpreti
FOTOGRAFIA: Luca BigazziMONTAGGIO: Cristiano TravaglioliMUSICHE: David ByrnePRODUZIONE: Indigo Film, Lucky Red, ARP Sélection, Element Pictures, Pathé, Irish Film Board, Section 481, Eurimages Council of EuropeDISTRIBUZIONE: MedusaPAESE: Francia, Italia, Irlanda 2011GENERE: DrammaticoDURATA: 118 MinFORMATO: Colore Paolo Sorrentino presenta This Must Be the Place Sean Penn a parte, non manca nessuno alla conferenza stampa romana di presentazione di This Must be the Place, il nuovo film di Paolo Sorrentino. Dallo stato maggiore della Medusa a Nicola Giuliano di Indigo Film a Andrea Occhipinti di Lucky Red, oltre, ovviamente, al regista e al suo co-sceneggiatore Umberto Contarello. Paolo Sorrentino si presenta alla platea di giornalisti in giacca e cravatta e con l’aria leggermente spaesata: un’aria che si tramuterà presto in rassegnata e sconsolata di fronte al livello delle domande che gli verranno poste.
Si comincia parlando di David Byrne, del suo coinvolgimento in This Must Be the Place e di come i suoi lavori registici possano aver influenzato le scelte di Sorrentino. “Prima di rispondere ci tengo a dire che questo film, un film italiano, è stato venduto in tutto il mondo con la sola esclusione della Cina. Questo non per vantarmi, ma per ricordare come il nostro cinema può essere esportato all’estero,” esordisce il regista napoletano. “Riguardo Byrne, il suo lavoro da regista mi piace moltissimo, e dato che il mio è un film che si muove su una base fatta da numerosissimi riferimenti cinematografici e letterari, può essere che vi siano degli agganci. L’analogia è possibile ma non volontaria. Sicuramente, invece, c’è stata una dittatura musicale sua nei miei confronti. Con David io e Nicola Giuliano ci siamo incontrati la prima volta nel camerino di un suo concerto a Torino: gli raccontavamo di voler fare un film con Sean Penn e gli si leggevano negli occhi la perplessità, la sfiducia. Ci prese per mezzi matti, disse di sì per farci star buoni, senza immaginare che il film si sarebbe fatto davvero. E quel sì lo abbiamo usato, dopo. A lui poi piaceva l’idea di comporre musica che potesse essere ideata ed eseguita da una band di 18enni. Sulla sua presenza come attore era più titubante, ma lo abbiamo convinto lo stesso.”
Come spesso accade in questo genere di eventi, tocca poi alla domanda che contiene già in sé la risposta, lunga ai limiti dell’estenuante. In questo caso è incentrata sul personaggio interpretato da Sean Penn, un folletto malinconico e fuori tempo rispetto al mondo, che attraversa gli Stati Uniti e il film alla ricerca di una catarsi inevitabile e necessaria. Di fronte alle osservazioni che gli vengon fatte, Sorrentino taglia corto: “Tutto vero quello che dite, ma,” aggiunge, “direi che l’elemento che ci guidava, nella sua caratterizzazione, era che lui fosse un inevitabile portatore di gioia.” Interviene sull’argomento anche Umberto Contarello, che puntualizza sullo stato clinico di Cheyenne: “Sta in quella zona grigia tra una noia prolungata e un’avvisaglia di malinconia che potrebbe diventare depressione in senso clinico. Se sia realmente depresso o meno, dipende anche da chi diagnostica.”
Inevitabile, parlando del personaggio protagonista di This Must Be the Place, parlare anche del suo ottimo interprete, impegnato in un ruolo davvero non facile da non trasformare in macchietta. “Il lavoro svolto con Penn ricalca quello che ho fatto in precedenza con altri attori,” racconta Sorrentino. “La piccola, grande variante è che vedendolo lavorare ti accorgi che lui è davvero in grado di fare tutto, il che è una caratteristica non comune. E tu da regista rischi parecchio, perché pensi di poter fare di tutto anche tu con una tale risorsa a disposizione. In sceneggiatura il personaggio era già molto definito, ma Sean ha comunque portato moltissimo, grazie alla sua capacità di mettere negli interstizi di una sceneggiatura quello che in sceneggiatura non si può mettere: dalla voce in falsetto (che denuncia anche il lato femminile molto sviluppato del personaggio) al modo di camminare (che lui definiva come quello dei ricchi che si sentono in colpa di esser diventati tali) alle sfumature e i dettagli.”
Tartassato sulla questione dell’“italianità” del suo film e sul dove essa risieda, Sorrentino si fa spicciolo nelle risposte: “Viene dai nomi dei realizzatori, punto. Il che i sembra moltissimo. Poi non so cosa sia l’italianità se non un mero dato anagrafico di nascita. Il punto è avere una buona idea e fare un buon film. Poi la nazionalità alla fine è residuale. Il titolo inglese? È quello della mia canzone preferita, in più pertinente in un film che parla della ricerca di un posto preciso nella vita e nel mondo.”
Il regista, che cita Una storia vera come l’unico altro film che sia stato cosciente riferimento per lui (“soprattutto per via della lentezza, di quella lentezza che ci affascinava e che per uno stupido luogo comune è nemica del cinema”), giustifica poi così la grande stratificazione tematica di un film come This Must Be the Place: “Mi sono divertito a raccontare una serie di cose, non una cosa sola. Da spettatore non mi piacciono i film che battono ripetutamente su un solo tema, su un solo messaggio, mi piace che un film di carne al fuoco ne metta tanta, quindi per me e per noi c’erano molteplici elementi di interesse: l’assenza di un rapporto affettivo tra un padre e un figlio, lo sfondo storico dell’olocausto con molta umiltà e con lo sguardo di un uomo di oggi, l’idea di raccontare la musica. E volevo raccontare tutto questo con una struttura rara al cinema che è quella in due atti e non tre. Volevo due parti ben separate e distinte: c’è bellezza nel raccontare due segmenti diversi che convivono nello stesso film.” Gli fa eco Contarello: “Uno dei motivi per cui il film mi piace molto è che nasce e vive dal desiderio di metterci dentro le cose che piacciono. Dall’energia e dalla felicità di dire ‘un film è e deve essere la sintesi delle cose che ti piacciono’. Questo, da sceneggiatore, lo puoi fare solo quando hai un autore capace di una straordinaria sintesi visiva. E un bel film è quello che permette allo spettatore di vedere il suo film, di scegliersi la sua storia tra tante.”
Sempre sul versante tematico, si è poi parlato molto della questione Olocausto. Sorrentino, sul tema, è stato molto accorto: “Sarebbe presuntuoso da parte mia dire che è un film sull’Olocausto. È un film che si muove su quello sfondo e che racconta anche cose relative a quel momento. Ma lo fa in maniera non completa, come è giusto che sia, visto che si tratta del più grande ventaglio di osservazione sul comportamento umano e le sue possibili degenerazioni. Il nostro è un piccolo punto di vista, non certo un racconto completo. Nel film abbiamo fatto dire all’ex nazista che certi orrori furono portati avanti per via di un processo imitativo. Un altro personaggio dice che le motivazioni furono economiche. Sono vari punti di vista. L’argomento è tanto complesso che trovare spiegazioni univoche è molto difficile, anche per gli storici. C’è chi ha passato una vita a provare di scovarne le ragioni e spesso ha tirato fuori spiegazioni semplicistiche.”
Sorrentino ammette poi elementi autobiografici presenti nel film, ma, dice, “scappo dal raccontarli: non amo far parte della moda di parlare ossessivamente di sé.” Interrogato infine sulle differenze tra questo film e i suoi lavori precedenti, il regista è netto: “Faccio fatica a guardarmi indietro e fare bilanci o confronti tra i miei film. È vero che gli altri non hanno il cosiddetto lieto fine, ma questo andava naturalmente verso il complemento della formazione personale che cercava e che raccontava. Rispetto al Divo, poi, faceva piacere lavorare su un binario più semplice, con meno implicazioni e minori complessità: la realtà italiana non finisce mai di avere risvolti e misteri. In un certo senso, This Must Be the Place, pur faticoso, è stato una lussuosa bella vacanza.”
Melancholia: Justine e Michael stanno per sposarsi, il ricevimento si terrà nella casa della sorella di Justine, ma proprio in quei giorni un evento catastrofico minaccia la terra ed i suoi abitanti...
USCITA CINEMA: 21/10/2011REGIA: Lars von TrierSCENEGGIATURA: Lars von TrierATTORI: Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Kirsten Dunst, Charlotte Rampling, Udo Kier, Stellan Skarsgård, Alexander Skarsgård, John Hurt, Brady CorbetRuoli ed Interpreti
FOTOGRAFIA: Manuel Alberto ClaroPRODUZIONE: E1 Entertainment, Tristar Pictures, CNC SeeDISTRIBUZIONE: BIM distibuzionePAESE: Danimarca, Francia 2011GENERE: Drammatico, FantascienzaFORMATO: Colore Sito UfficialeMelancholia - la recensione del film di Lars von Trier
Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2011
Un pianeta enorme e affascinante. Incombente e pericoloso, che gioca con la Terra (quindi con gli uomini) come al gatto col topo. Che si nasconde dietro il sole, spunta fuori e affascina irresistibilmente come una seconda luna. E che è destinato a distruggerci. È questa, per Lars von Trier, la malinconia. Una forza magnetica e affascinante, nella quale ci si perde, che si teme, che si cerca di esorcizzare attraverso un uso impossibile della razionalità. Un'entità sterminatrice, di fronte alla quale, nel precipitare degli eventi, è possibile trovare terrore e pacificazione al tempo stesso.
Come ogni vero artista, il regista danese dipinge e in questo modo esorcizza i suoi demoni personali. Personali e universali, raccontando di quella molle e romantica inclinazione al mal di vivere che ben conosce e che regala possibilità d'ispirazione tanto magnifiche quanto inquietanti. E Melancholia è esattamente quello, è magnifico e inquietante. Eppure, paradossalmente, salvifico e lanciato verso un futuro nuovo e differente, a dispetto della distruzione totale che annuncia nel suo sinfonico prologo.
Mettendo da parte le controversie più esplicite e più triviali del suo cinema, e battendo invece là dove la complessità vera del suo cinema è sempre stata, invisibile ai più, a quanti si fermavano alla provocazione che per lui è sempre stato ironico sberleffo intellettuale, Lars von Trier pare voler segnare l'ennesimo punto a capo di una carriera multiforme e coerentissima, con una maturità e una consapevolezza (anche stilistiche) che stupiscono. E colpiscono diritte al cuore. E allo stomaco.
Un prologo, due capitoli, una narrazione dalla complessissima semplicità. Un coinvolgimento emotivo potente ottenuto tramite elegante freddezza e melodrammaticità congelata, proprio come nel The Tree of Life di Terrence Malick. Un accavallarsi di temi e situazioni che travalicano il sentimento del titolo, se ne nutrono, lo rispecchiano e ci rispecchiano. Come e ancor più che nel precedente Antichrist, Lars von Trier si regala completamente al suo film e a noi che guardiamo, commoventemente sincero nell'ammissione di sé stesso. Ci si offre nudo e abbandonato, come la Kirsten Dunst suo chiaro alter ego che si offre come in un dipinto romantico ad una tintarella di Melancholia.
Moneyball: Assunto come general manager della squadra di baseball degli Oakland's Athletics, Billy Beane cerca di trovare in un complesso sistema computerizzato d'analisi statistica il modo di trovare i giocatori migliori da mettere sotto contratto e da schierare. Per tornare finalmente a vincere.
USCITA CINEMA: 11/11/2011REGIA: Bennett MillerSCENEGGIATURA: Aaron Sorkin, Steven ZaillianATTORI: Brad Pitt, Jonah Hill, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Kathryn Morris, Stephen BishopRuoli ed Interpreti
PRODUZIONE: Michael De Luca Productions, Scott Rudin Productions, Specialty FilmsDISTRIBUZIONE: Warner Bros. Pictures Italia PAESE: USA 2011GENERE: DrammaticoFORMATO: Colore Sito Ufficiale
SOGGETTO: Dal libro "Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game", di Michael M. Lewis.