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violenze nelle università americane...
“SARÀ UNA NOTTE DA RICORDARE” SCRIVE NELL’ULTIMO SMS MICHAEL BURCH, MATRICOLA ALL’UNIVERSITÀ DELLA WEST VIRGINIA, E MOLTI LA RICORDERANNO. MA NON LUI: È MORTO INTOSSICATO DALL’ALCOL INGURGITATO CON L’IMBUTO DURANTE LA CERIMONIA DI INIZIAZIONE - 2. OGNI NUOVO ANNO ACCADEMICO MIGLIAIA DI MATRICOLE DISPOSTE A TUTTO PUR DI ESSERE ACCETTATE SI SOTTOPONGONO A ''CERIMONIE'' CHE, FUORI DALL'UNIVERSITA', SAREBBERO GIUDICATE COME TORTURE, AGGRESSIONI SESSUALI, VIOLENZA, SEQUESTRI DI PERSONA - 3. LA VODKA, OGGI IL LIQUORE D’ELEZIONE NELLE SBORNIE TOSSICHE, TORNA A SCORRERE, IRRESISTIBILE COME LA VOGLIA DISPERATA DI “BELONG”, DI APPARTENERE, DI ESSERE ACCOLTI NEL BRANCO, PIÙ FORTE DI OGNI PAURA. LA DROGA È IL TERRORE DELLA SOLITUDINE E DELL’ESCLUSIONE, QUELLA CHE ALIMENTA LA PREPOTENZA DEI PIÙ FORTI -
Vittorio Zucconi per la Repubblica
NOLAN BURCH
«Sarà una notte da ricordare» scrive nell’ultimo sms Michael Burch, matricola all’Università della West Virginia, e molti la ricorderanno. Ma non lui: Michael è morto venerdì, intossicato dall’alcol ingurgitato con l’imbuto durante la cerimonia di iniziazione alla “Animal House” che lui aveva tanto sognato.
Morire di “hazing”, dei bestiali riti di iniziazione che i nonni, gli anziani del gruppo nel quale si vuole entrare infliggono agli aspiranti, non è neppure più una notizia sconvolgente. Ogni nuovo anno accademico, nella galassia di quelle che nei college americani sono chiamate “Fraternity”, confraternite o, egualmente feroci nella pari opportunità delle umiliazioni, “Sorellanze”, identificate con lettere greche, migliaia di matricole disposte a tutto pur di essere accettate si sottopongono a cerimonie che, fuori dai confini della vita universitaria, sarebbero giudicate come torture, aggressioni sessuali, violenza, sequestri di persona. Da quando John Grives, la prima vittima riconosciuta, morì di “iniziazione” a un club del Seminario Franklyn del Kentucky nel 1838.
“Hazing” è verbo di incerte origini etimologiche, forse dal francese arcaico “haser”, irritare, tormentare, forse dallo “haze” inglese, che significa foschia, confusione, lo stato mentale di chi ne esce vivo. Ma non sono incerte le pratiche che lo rendono insieme terrorizzante ed eccitante, brutale ed esilarante, per chi vi si sottopone per soddisfare la più profonda delle pulsioni umane, specialmente acuta nei giovani: il bisogno di appartenere, di essere accettati dai propri pari. Di essere dentro il branco. Non ci sono regole, non ci sono limiti, se non quelli dettati dagli anziani, nelle “Fratellanze” greche nei college, nei reparti militari, nei club sportivi, nelle gang, ovunque sia praticato.
La definizione clinica dell’iniziazione da Animal House, come quella imposta al ragazzo diciottenne nella West Virginia fino all’arresto cardiaco, è semplice quanto raggelante: «pratica di umiliazione, depravazione, abuso psicologico o fisico», che quasi sempre (nel 60% dei casi secondo gli studi) comprende alcol, legalmente proibito ai minori di 21 anni, e sesso, i due frutti proibiti e quindi ghiottissimi.
Uno “hazing” come si deve, tanto più brutale quanto più desiderabile è il branco al quale ci si vuole unire, può andare da un classico nelle squadre di professionisti, dove il “rookie”, l’ultimo arrivato può essere legato attorno a un palo per tutto il giorno con nastro isolante, costretto a portare i bagagli di tutti gli anziani, bere l’acqua nella tazza del water, leccare i sospensori sporchi o alla semplice richiesta, da vecchio “papiro” universitario di altre generazioni, di pagare da mangiare a tutti per un giorno.
Ma questi sono, appunto, giochi. Le studentesse della Zeta Phi Beta nella Università di Berkley non giocavano quando imposero a Britteny Starling che voleva diventare una loro “sorella”, di trasformarsi in un cassonetto ambulante, costretta a ricevere tutti rifiuti, compresi più ripugnanti, delle altre ragazze e portarli su di sé tutto il giorno. Superata la prova, Britteny dovette trascorrere la notte in piedi, nuda, senza poter andare in bagno. Quando le gambe cedettero, le “sorelle” la bersagliarono con lanci di libri. Sopravvisse, prima di fuggire e fare causa all’Università.
Nei maschi, oltre alle quantità di alcol in- gurgitato e responsabile nei tre quarti delle morti, sempre popolarissima e diffusissima è la cerimonia della “bustina del tè”. La bocca spalancata dell’aspirante “fratello” sdraiato a terra deve servire da teiera dove intingere i testicoli degli iniziati. Nella Università di Penn State, Joanne dovette pulire il pavimento e i sanitari del bagno pubblico usando soltanto le proprie unghie. Joanne, che finì soltanto in ospedale con le dita sanguinanti. Fu più fortunata di Armando Villa, la matricola che lo scorso anno fu lasciato solo in una foresta della California dai compagni, bendato, senza acqua, senza telefono cellulare e senza scarpe. Fu trovato dai Park Ranger ucciso da un colpo di calore.
A ogni notizia di morti — almeno due all’anno quelle segnalate — di infortuni gravi, in alcuni casi di suicidi di coloro che sono respinti per avere rifiutato di subire i tormenti prescritti, insorge l’ipocrisia di rettori, facoltà, amministratori che sospendono le “Fraternity” greche peggiori — e ce ne sono invece di prestigiosissime che accettano soltanto studenti di eccellenza — e tolgono l’uso di case appartenenti alle università, il loro grande privilegio.
Veglie con candeline, processioni, immutabili attestati di affetto per la vittima, sempre il «migliore di noi» come nel caso del ragazzo della West Virginia, seguono, come le promesse di ripulire le Animal House e di limitare cerimonie di iniziazione barbarica da baracche di marines “Full Metal Jacket” affidate a sadici sergenti istruttori.
E non sono soltanto studenti universitari esaltati dalla improvvisa, totale libertà personale dopo anni di vita sotto la cupola della famiglia, a indulgere nel sadismo rituale: caserme, dormitori di operai nei cantieri, squadre di sport professionali o amatoriali, tutti hanno conosciuto casi di
violenza e di prepotenza sugli ultimi arrivati fino a lesioni gravi o morti.
Poi, spente le candeline, asciugate le lacrime, chiuse le severe inchieste, tutto continua come prima. La vodka, oggi il liquore d’elezione nelle sbornie tossiche, torna a scorrere, irresistibile come la voglia disperata di “belong”, di appartenere, di essere accolti nel branco, più forte di ogni paura, più intenso di ogni prudenza. La droga è il terrore della solitudine e dell’esclusione, quella che alimenta la prepotenza dei più forti.
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