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APPLAUSI DEGLI UNDER 30 PER L’ANTEPRIMA ALLA SCALA DELL’OPERA DI BEETHOVEN - CRITICHE PER LA REGIA DI DEBORAH WARNER CHE INSERISCE ANCHE UN BACIO TRA LE DUE CANTANTI
Applausi per la “primina” dell’opera diretta da Barenboim ma la prima di sant’Ambrogio potrebbe essere diversa - Dopo la prova generale già circolavano alcune critiche sulla regia: è noiosa, attualizza insistendo sul realismo invece di osare ambientando la vicenda in un luogo immaginario post atomico -
Paola Zonca per “la Repubblica”
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È iniziata con un piccolo contrattempo (un quarto d’ora di ritardo perché il treno su cui viaggiava il primo oboe dell’orchestra, Fabien Thouand, ha avuto un incidente, il sovrintendente Alexander Pereira uscito in proscenio a scusarsi), ma è finita in gloria. La “primina” del Fidelio di Beethoven alla Scala diretto da Daniel Barenboim, ospite anche l’ex numero uno Stéphane Lissner, ha conquistato il pubblico dei giovani under 30, e gli applausi hanno premiato interpretazione musicale, regia e cantanti.
Chi ha assistito allo spettacolo (per la prima volta nel foyer un albero di natale) ha raccontato che la regia di Deborah Warner attualizza, senza stravolgimenti, la storia della giovane Leonore (il soprano Anja Kampe), che finge di essere un uomo (Fidelio) per salvare il marito imprigionato Florestan (il tenore Klaus Florian Vogt), e gioca tutto sul contrasto tra oscurità e luce: tinte grigie, cupe, nel primo atto, colori accesi nel finale del secondo, quando trionfa la giustizia, in una scena di popolo che scatena l’entusiasmo. Il sipario si alza sull’interno di un ex capannone industriale in cemento armato: non ci sono riferimenti precisi, ma alla mente tornano episodi di cronaca politica degli ultimi anni (dalla scuola Diaz ai campi dell’Isis).
Qui i custodi — Rocco, la figlia Marzelline e l’aiutante Jaquino — conducono però una tranquilla vita domestica: la ragazza stira le lenzuola, ai fili è appeso il bucato, c’è anche un mocio per lavare il pavimento, il padre sbriga le sue pratiche su due tavoli d’ufficio. Tra le colonne di una torretta passeggiano i secondini e fa la sua comparsa anche un pastore tedesco (sperando che gli animalisti non protestino). E i ragazzi non si sono fatti turbare più di tanto dal bacio tra quelle che in realtà sono due donne: Leonore-Fidelio e Marzelline.
Nel secondo atto la scena è un luogo sventrato da una bomba che ha lasciato sul terreno calcinacci e macerie. Florestan è immerso nel buio, sepolto in una catacomba, legato a una catena come un cane, ma si trascina a fatica verso una luce bianca e fredda e canta la sua aria “In des Lebens Frühlingstagen”.
Don Pizzarro scende nella prigione con l’intenzione di ucciderlo, ma si prepara il gran finale in stile “arrivano i nostri”: i due coniugi si riconoscono, e a invadere il palco, all’entrata del ministro che ristabilisce la giustizia, è il popolo, interpretato magnificamente dal coro: c’è il clochard col cappello di lana, quello con una ferita sanguinante, ci sono le vecchiette col foulard, gli operai col caschetto protettivo, i giovani e gli anziani, mentre i mimi-carcerieri sono bendati.
Qui dominano i colori, soprattutto il rosso, il blu e l’arancione, come in quadro fiammingo. Il messaggio filantropico è chiaro ed emoziona gli spettatori: non è solo Florestan a salvarsi, grazie all’amore di Leonore, ma anche il popolo, come è accaduto in tante rivoluzioni di piazza.
Certo, la reazione del pubblico della “prima” di Sant’Ambrogio potrebbe essere diversa da quella calorosa dei giovani. Dopo la prova generale già circolavano alcune critiche sulla regia: è noiosa, attualizza insistendo sul realismo invece di osare ambientando la vicenda in un luogo immaginario post atomico. Tra tre giorni, il responso.
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