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10/06/2022
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07/06/2022
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27/06/2022
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Agenda teatrale dal 22 al 28 dicembre 2014 in Campania, programmata dal Teatro Pubblico Campano
Teatro Ricciardi di Capua
Info 0823963874
Martedì 23 dicembre ore 21.00
BIBI
Bibi’ Produzioni
presenta
Biagio Izzo in
Come un Cenerentolo
di Bruno Tabacchini e Biagio Izzo
con (in ordine alfabetico)
Paolo Bonanni, Gino Cogliandro, Teresa Del Vecchio,
Yuliya Mayarchuk, Francesco Procopio, Samuele Sbrighi.
scene Luigi Ferrigno
costumi Graziella Pera
coreografie Manolo Casalino
disegno luci Massimo Tomasino
musiche Jacopo Fiastri
regia Claudio Insegno
Come un Cenerentolo è una rivisitazione in chiave moderna della favola di Cenerentola al maschile; quello che fece Jerry Lewis nel film del 1960 Il Cenerentolo. Una trasposizione delle identità di genere dei due ruoli centrali della fiaba, ovvero dell’eroina discriminata e della fatina buona, che cambiano sesso. Elementi che accomunano il Cenerentolo di Biagio Izzo a quello del famoso attore americano; elementi dai quali si trae lo spunto per rendere omaggio a uno dei cosiddetti ”mostri sacri” del mondo dello spettacolo americano, ma celebre anche nel resto del mondo, considerato il comico per eccellenza del cinema statunitense del dopoguerra. A Jerry Lewis si sono ispirati molti comici e uomini di spettacolo anche nel nostro Paese: Adriano Celentano, Enrico Montesano, Riccardo Miniggio (il Ric della coppia Ric e Gian). Pensava certamente a Jerry Lewis, Biagio Izzo, quando agl’inizi della sua carriera creò l’esilarante, esplosivo, esagerato, Bibì , che di similitudini con il “picchiatello” più famoso del mondo ne ha davvero tante. Come un Cenerentolo anche Bibì nella sua ricerca perenne di una fata o di un “fato” che potesse finalmente dargli una possibilità di riscatto. Così Biagio Izzo, come Bibì, alla ricerca del suo “fato” in questa storia che non vuole essere una parodia del celebre racconto per bambini – cosa che invece realizzò Jerry Lewis nel suo Il Cenerentolo - ma una farsa dai toni paradossali che tratta di riconoscimento di paternità e successioni.
Sinossi
Federico Cocozza è il figlio acquisito di una famiglia di albergatori, i Carrozza, proprietari dell’albergo Contessa sito in una ridente località di mare. Il suo riconoscimento, avvenuto in età adulta, da parte di Alberto, per volontà testamentaria, crea difficoltà ed imbarazzo fra i componenti il nucleo familiare messi di fronte al fatto compiuto.
Da qualche giorno gli è stato notificato l’atto di riconoscimento. Il padre che non aveva mai conosciuto gli donava, post mortem, un cognome importante e un terzo dei suoi averi. Ma da uomo esperto, non credendo ai sogni, e nemmeno alle favole, prima di dare il suo assenso decide di toccare con mano la consistenza della sua fortuna presentandosi di persona presso l’albergo di famiglia. Evidenti risultano immediatamente le differenze di livello sociale tra i fratelli Carrozza, cresciuti nel benessere, e l’ultimo arrivato di cui non si conoscono i trascorsi, ma che, da quanto sì desume, per la rozzezza dei modi, certamente, non può considerarsi pari a chi si è formato nei migliori College italiani.
Intanto l’albergo Contessa sta attraversando un momento difficile. Massimo e Roberto Carrozza, figli legittimi di Alberto, con la colpevole benevolenza della madre Mercedes, si sono indebitati al punto che, se non si trova un finanziatore, l’ufficiale giudiziario pignorerà l’intera struttura per soddisfare le richieste sempre più pressanti dei creditori inferociti. Si rischia il fallimento e forse anche qualche atto d’intemperanza!
Mercedes ha chiesto aiuto al suo vecchio amico d’infanzia Giacomo Principe, detto Jack, tornato di recente dall’America ricco sfondato. Lui potrebbe essere la chiave di volta, in questo momento di sofferenza economica.
Jack ha una figlia, Azzurra, una ragazza infelice perché strappata al suo ambiente e portata in Italia dove proprio non ci vuole stare.Ma l’America scottava sotto i piedi di Mr. Principe e a malincuore la famiglia si è dovuta trasferire nel paese d’origine.
Il padre della ragazza cerca di inserirla nei migliori salotti; vorrebbe che Azzurra frequentasse le più titolate famiglie italiane. Quella dei Carrozza è certamente una famiglia prestigiosa, un nome importante nell’alta società.
Contattato da Mercedes, Jack ha manifestato l’intenzione di organizzare una festa per Azzurra. Ci saranno ospiti importanti. Mercedes mette a disposizione il suo albergo. E’ l’ opportunità giusta per ricordare la vecchia amicizia e, si spera, per sancire rapporti d’affari, e forse chissà, magari, per legare le due famiglie con un ricco e provvidenziale matrimonio. In casa Federico è tenuto a freno e non gode di tutte le prerogative riservate, invece, ai suoi fratelli. La famiglia lo tiene a distanza. Sono in ballo questioni di interessi. Oltre al cognome, il figlio riconosciuto acquista diritti successori. Ma si sa, nelle favole il danaro non è tutto, e la favola stessa ci aiuterà a trasformare quel rozzo Cenerentolo in un perfetto gentleman dei nostri giorni.
Teatro Carlo Gesualdo di Avellino
info 0825771620
Sabato 27, ore 21.00, e domenica 28 dicembre, ore 18.30
Engage
presenta
Serena Autieri in
La Sciantosa
"ho scelto un nome eccentrico"
scritto da Vincenzo Incenzo
regia di Gino Landi
lighting design Valerio Tiberi
costumi Monica Celeste
in scena Alessandro Urso
con il Quintetto Eccentrico Italiano
Sull’onda dello straordinario successo con cui è stata accolta da critica e pubblico nelle prime tappe italiane, Serena Autieri parte in tour con il suo One Women Show “La Sciantosa - ho scelto un nome eccentrico”, spettacolo scritto da Vincenzo Incenzo e diretto da Gino Landi.
“Ho voluto rileggere in chiave nuova ed attuale il caffe chantant - racconta Serena -con un lavoro di ricerca e rivalutazione nel repertorio dei primi del ‘900, da brani più conosciuti e coinvolgenti, quali ‘A tazz’ e cafè e Comme facette mammeta sino a perle nascoste come Serenata napulitana e Chiove, oggi ascoltabili solo con il grammofono a tromba. Tra una rima recitata e una lacrima intendo riportare al pubblico quelle radici poetiche e melodiche ottocentesche e quei profumi arabi, saraceni e americani che Napoli ha ruminato e restituito al mondo nella sua inconfondibile cifra.
Ho voluto fortemente mantenere il clima provocatorio e sensuale di quei Caffè, e ricreare in teatro quel rapporto senza rete con il pubblico, improvvisando, battibeccando, fino a coinvolgerlo spudoratamente nella “mossa”, asso nella manica di tutte le sciantose.
Note dell’autore
Incontrare la sciantosa e il suo “nome eccentrico” vuole dire aprire un baule magico con un immenso tesoro dentro. Vuole dire tuffarsi anima e corpo nell’oceano della tradizione classica e allo stesso tempo abbracciare le radici della modernità. ‘A tazz’ e cafè, Comme facette mammeta, I’ te vurria vasà, prima di essere meravigliose canzoni sono testimoni e sentinelle di un mondo e di un’epoca da proteggere, di un tempo e di uno spazio in cui germogliano i princìpi tutti della cultura dello spettacolo che verrà. Serena Autieri entra a schiaffo, con i panni di Pulcinella nei luoghi e nei codici del caffè concerto e del varietà, ed è subito Napoli, arte di arrangiarsi, gioia e disperazione, mare romantico e vulcano incandescente. E’ guerra, colera, miseria ma è anche resurrezione, sorriso, amore.
Poi, via la maschera, e d’incanto Napoli è femmina. Una “mossa”, una rima recitata, una lacrima, ed eccole, quelle radici poetiche e melodiche ottocentesche e quei profumi arabi, saraceni, americani che ‘o paese d’’o sole, crocicchio di riferimenti locali e stimoli provenienti da ogni latitudine, ha ruminato e restituito al mondo nella sua inconfondibile cifra.
Il pretesto dello spettacolo è la prima grande protagonista di quel mondo, Elvira Donnarumma, “a capinera napoletana”, colei che sovvertì le regole dell’apparire; bassina, tarchiata, ma con una voce che toccava le corde dell’anima. Colei che raccolse i fiori sul palco di Eleonora Duse e Matilde Serao, che rifiutò per spirito patriottico il contratto in Germania, che sfidò la sua malattia ogni sera fino alla morte pur di non abbandonare il pubblico; lei che avvolta dalla bandiera italiana, in precario equilibrio e con gli occhi pieni di lacrime, cantò “Addio” davanti a tutta Napoli che la acclamava.
Serena Autieri legge Donnarumma in controluce, sdoganandone la fisicità, recuperata attraverso il gesto e la parola, in un’ora e mezza di spettacolo senza rete, sola sulla scena, attraversata dalla cometa elegante di un mimo ogni tanto a cadenzare il flusso narrativo. Fuori e dentro, dentro e fuori, Serena gioca con il suo personaggio, lo presenta, lo incarna, lo lascia, lo riprende. La realtà feconda la finzione e viceversa in un gioco delle parti vertiginoso ed esilarante.
La scena fa il resto. Una finestra che s’illumina nella notte, lo sciabordìo di onde in lontananza, una nave in partenza, valige sul molo. Oggetti e proiezioni evocano i momenti. Tutto viene restituito a una lettura contemporanea mentre batte un cuore antico.
C’è il vicolo, la scalinatella, ma c’è anche il futurismo, le camice nere, il Ballo Excelsior, l’avvento della radio. Quadri come suggestioni, tagliati da un disegno luci che evoca più che dichiarare e musicisti che riportano nostalgie e profumi del tempo. Ma il palco non basta, e allora Serena scende tra il pubblico, e lo spettacolob da qui in poi ogni sera è a soggetto.
Il muro di Diderot cade (una lezione valida dai tempi di Plauto), e con il muro la sospensione del dubbio esistente tra finzione e realtà. Gli spettatori diventano parte attiva e memoria di quello che fu, allo stesso tempo. Una sorta di non-sequitur visuale, dove la rottura della convenzione scatena la comicità. Risate, lacrime, riflessioni. Il pubblico è preso a schiaffi e carezze, come quel Pulcinella in incontinenza verbale magistralmente interpretato da Serena a inizio spettacolo, metafora vivente e straordinariamente attuale dell’accavallarsi folle di parole del nostro tempo.
E’ cafè chantant ma è anche talent show di oggi, perché cambiano i codici ma non il messaggio. E’ sguardo critico al presente, allo strapotere dell’immagine tritatutto, alla mai troppo considerata meritocrazia, ai valori al tramonto di patria e di famiglia. Ma è soprattutto amore, identità, rivendicazione. E passato che guarda al futuro.
Vincenzo Incenzo
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