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in onore di un professionista serio..
GIOVANNI LO PORTO ERA UN COOPERANTE ESPERTO E CHE AVEVA STUDIATO PER FARE QUELLO CHE FACEVA – NON ERA UN DILETTANTE ALLO SBARAGLIO COME GRETA E VANESSA E INFATTI NON HA AVUTO MANIFESTAZIONI DI PIAZZA
Per fare meglio il suo lavoro aveva preso una laurea in Gran Bretagna e un master in Giappone. Aveva avuto incarichi ad Haiti e nel Centrafrica, prima di andare sulle montagne del Pakistan. Il suo rapimento è stato coperto dal silenzio. “Un rapito di serie B”, come ha detto il padre?
Gian Micalessin per “Il Giornale”
Era innanzitutto un serio professionista. Non confondeva l'impegno per il prossimo con l'ideologia. Non mescolava la generosità alla retorica. E non era un attivista di sinistra. Giovanni Lo Porto non possedeva insomma nessuna delle caratteristiche indispensabili per mobilitare la grande stampa di questo Paese, per far fremere pacifisti e anime belle, per far scendere in piazza studenti ed operai.
Era un esimio sconosciuto, una perdita irrilevante o - come sussurra l'amara disperazione del padre - un «ostaggio di serie B». Difficile dargli torto. Difficile non mettere a confronto il clima di annoiata indifferenza con cui il nostro Paese ha reagito, per tre anni, al suo rapimento e quello di generale mobilitazione che circondò la vicenda di Simona Pari e Simona Torretta, le due volontarie di «Un Ponte per...», sequestrate il 7 aprile del 2004 a Bagdad e liberate cinque mesi e mezzo dopo. In quei giorni le loro foto campeggiavano sulle prime pagine dei giornali, sventolavano dalle finestre dei palazzi istituzionali, illuminavano l'apertura dei tg, animavano i dibattiti televisivi. In quei giorni di passione, discussioni e polemiche non c'era italiano che non fosse in grado di citarne vite, opere e miracoli, di prevederne morte o liberazione, di esprimere giudizi sulla bontà o sull'inutilità del loro lavoro.
Erano così conosciute, talmente amate - o parimenti detestate - da diventar l'una l'alter ego dell'altra, fino a fondersi in un'entità mediatica una e bina, citata semplicemente come le Due Simone. Dietro quell'entità non c'erano più due semplici donne. C'erano prima di tutto due «attiviste pacifiste» assurte a simbolo e slogan della retorica di sinistra. Per quella connotazione politica ideologica, non per l'essere banalmente umane o genuinamente generose, dovevano esser riportate a casa. A tutti i costi. E ad ogni prezzo.
E lo stesso valeva per Vanessa Marzullo e Greta Ramelli le due autoproclamate «volontarie» rapite in Siria e liberate il 15 gennaio scorso, lo stesso giorno in cui, per una tragico, ma simbolico gioco del destino, un missile troncava vita di Lo Porto. Greta e Vanessa, a differenza delle due Simone, non erano neppure pacifiste. E tantomeno professioniste. Ma in virtù del medesimo pedigree di sinistra beneficiavano pure loro dello status di fanciulle-simbolo, capaci di animare cortei e dibattiti.
Giovanni Lo Porto non poteva vantare nessuna di queste di queste qualità. Non partecipava a cortei o manifestazioni. Non inneggiava alle gesta di movimenti armati, rivoluzionari e massacratori. Desiderava solo aiutare il prossimo. Per riuscirci s'era preso una laurea a Londra e un master in Giappone. Per metterle a frutto s'era sudato incarichi e fatiche tra le macerie di Haiti, le giungle del Centrafrica e le infide montagne del Pakistan. Giovanni non parlava molto e lavorava tanto. Ma forse per questo la sua vita valeva dannatamente poco.
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