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L'attore Graziano Purgante: "Dal palco percepisci in modo tangibile la tensione, l’armonia o la gioia degli spettatori."

nov 2, 2023 0 comments


 Graziano ci racconti di Lei, chi è Graziano Purgante come persona?

Partiamo da una domandina facile insomma. Nemmeno se vivessi tre vite potrei rispondere pienamente a questa domanda. Una cosa è certa, non saremo mai quelli che siamo stati fino ad oggi. Certo porteremo con noi la crescita in esperienza ma saremo sempre in evoluzione nell’avanzare della vita. Odio la staticità, mi dà su i nervi. Questo è frutto degli insegnamenti che mi imprime il percorso artistico e di vita che ho scelto di intraprendere. Niente è regalato, se si vuole raggiungere un obiettivo va perseguito! Di conseguenza ho modificato il mio pensiero sul concetto di “sperare”, che lascio intendere esser diventato più pessimista che ottimista. “Sperare” mi sa tanto di inattività fisica e mentale, concedendo all’ignoto il tempo e la volontà di scegliere per noi standocene fermi. Molto meglio rimboccarsi ogni giorno le maniche e produrne attività e occasioni. La fortuna aiuta gli audaci no? Dalle parole che utilizzo, quindi, si può percepire quanto io sia determinato, ambizioso, quanto io voglia essere determinante nel settore dello spettacolo, sono sognatore ma uno di quelli che non sogna solo nella testa ma che trasla le immagini mentali nella realtà trasformandole in obiettivi. Ci credo e lo voglio! Dietro questa forte figura tutta di un pezzo si cela anche la mia vulnerabilità che è, sia per la mia persona e sia per l’attore che sono, il più grande punto di forza che potessi avere. È un ricevitore e trasmettitore di sensibilità, empatia, emotività. È l’elemento di cui spesso più ce ne imbarazziamo ma che ci rende più umani. La sincerità assoluta della nostra persona. La cosa che più amo invece è il confronto, è lo strumento più utile di apertura mentale e di esplorazione della propria persona in rapporto ad ogni contesto e relazione interpersonale. Si impara e si cresce attraverso l’ascolto e la riflessione. Questi elementi fondamentali possono chiaramente disegnare, ad oggi, che tipo di persona sono con me e con il mondo attorno.

Come nasce la sua passione per la  recitazione?

Quella per la recitazione dico sempre che è stata una vocazione. Ricordo che facevo tutt’altro, giocavo a calcio. Furono i miei genitori a convincermi di prendere parte ad una commedia di una compagnia locale dove anche loro amatorialmente si divertivano. Ripensandoci mi fa ridere quanto io, al tempo, alle loro parole rispondevo con ironia e sminuivo il teatro. Fu la sensazione che provai nello giocare credendoci sul serio, nel sentirmi me stesso attraverso un personaggio ma vestendo panni diversi dai miei, le vibrazioni che il palco mi faceva risuonare dalle gambe fino in cima alla testa che mi scosse. Ho ancora fisso nella mente il momento preciso in cui mi dissi: “Voglio questo nella mia vita. Voglio essere felice. Voglio essere un attore.”. Iniziai immediatamente i miei studi universitari, una laurea in Discipline delle Arti e dello Spettacolo, e in contemporanea un percorso triennale di teatro; non contento e soddisfatto, con tanta voglia di migliorarmi, ho iniziato a divorare libri per stabilire un confronto diretto con chi della recitazione ne ha fatto uno studio e una rivoluzione pedagogica: dalla scuola russa di Stanislavskij, Vachtangov, Mejerchol’d, Michail Checov, alla scuola americana con Strasberg, Meisner, Adler, Batson, Chubbuck e ai più recenti maestri/pedagoghi come Grotowski, Peter Brook, Donnellan, Orazio Costa e altri. Da lì ho continuato senza sosta approfondendo la recitazione cinematografica con un percorso triennale per ampliare la versatilità di adeguamento ai codici diversi di recitazione, un Master in “Teatro, pedagogia e didattica” con studio di metodi di recitazione e pratiche delle arti sceniche acquisendo così ulteriori competenze anche sotto il profilo di formatore, workshop e masterclass su tecniche, spunti di drammaturgia, analisi attoriale tra Napoli e Roma, fino ad arrivare ad oggi dove, oltre a tenere vivo il mio obiettivo attoriale ricevendo richieste di progetti teatrali e avendo il supporto di un agenzia di rappresentanza artistica cinematografica che mi inserisce anche in quel settore, mi si è aperta inoltre la porta dell’insegnamento della disciplina stessa con richieste da diversi laboratori di recitazione su Napoli e Salerno. Una vita la mia che gira intorno alla recitazione in tutte le sue sfumature e possibilità. Se ero partito cercando la felicità adesso posso dire che inizio a sentirla presente nella mia quotidianità.



Una laurea in   in “Discipline delle Arti e dello Spettacolo” e, in parallelo, un percorso triennale di Teatro per   porre le basi del suo approccio e conoscenza tecnica del sistema teatrale e del sistema attoriale in più un Master in “Teatro, pedagogia e didattica. Metodi, tecniche e pratiche delle arti sceniche”, a tutto questo studio elencato viene spontanea la domanda : l’arte e in particolare il teatro può avere una funzione sociale seria?

Io credo fortemente che il teatro debba averla. È una fonte di trasmissione e comunicazione che può educare, scuotere menti e anime e condurre alla riflessione. L’impatto del teatro ha una forma pedagogica e didattica che può influenzare la società. Lo spettatore non deve essere pensato come un osservatore passivo, ma attivo. Certo, tra le caratteristiche ricercate nel teatro c’è anche il fattore di semplice intrattenimento e piacere nello staccare dalla routine, quindi di poco impegno e leggerezza, ma anche in quel caso lo spettatore seduto tra le poltrone mantiene sempre in attività, qualora è stimolato dallo spettacolo, tutto il sistema percettivo sensoriale e intellettivo, e inconsciamente qualcosa impatta su di lui e in lui manifestandosi durante o fuori dalla sala. Di conseguenza bisognerebbe sfruttare questa potenzialità del teatro per poter ristabilire dei pilastri portanti presenti nel contesto sociale ma che forse si stanno sgretolando, come: la comunità, il senso di unione, il riconoscersi in dei principi umani e civili e soprattutto responsabilizzarsi come propagatore di questi impegni. Al di là di ogni tipo di giudizio soggettivo, attenzione! Uno strumento che impatta ma che non decide sulle menti delle persone. Una voce di coscienza. Si guardi al teatro come un’esperienza e non come uno show a cui solo assistere passivamente. Basti pensare alla natura primordiale che il teatro stesso aveva nell’antica Grecia, in cui era il luogo di riunione comunitaria e rituale della società. Ricondurre il potere di questo mezzo espressivo e trasmissivo anche ai giorni nostri potrebbe modificare il senso stesso dell’andare a teatro, del sentirsi spettatore e di non identificarlo solo come semplice svago ma come possibilità di confronto, crescita e riflessione. Immaginate scuole di ogni tipo che una volta al mese utilizzano il teatro per “imparare facendo esperienza” di ciò che un libro porta solo scritto, senza dover imparare a memoria date e nomi ma comprendendo quanto sia importante saper definire con una data e un nome quell’esperienza vissuta e l’esperienza stessa che segniamo su un libro scolastico. Oppure chiedetevi perché in piccole cittadine o in grandi città sono così importanti e seguite manifestazioni e eventi di tradizione, processioni, sagre, eventi culturali specifici e non: perché è teatro! Antropologicamente parlando, la gente converge in un unico luogo, in un posto preciso, in un momento preciso per VIVERE l’esperienza di quel preciso contesto e precisa rievocazione. C’è più teatro di quanto si pensi nel sociale, bisogna solo saperlo cogliere e utilizzare quando lo si riconosce.

Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?

Non mi sento di rifarmi ad un solo unico artista in particolare. Mi piace osservare e cogliere quello che potrebbe essermi utile come attore e come persona. Sì, perché prima di essere attore si è persona e quella è la nostra arma artistica. Ognuno di noi è un calderone di strumenti psico-emotivi ed esperienziali, fisici, tecnici ed espressivi, averne piena consapevolezza è il nostro dovere e allenamento. Mi rifaccio quindi a chi, passando sotto il mio sguardo attento, possa riportarmi a una possibilità di miglioramento e a uno spunto di analisi personale per captare cosa rubare per apportarlo al mio essere sistema creativo. Se dovessi però scegliere un attore cinematografico che negli ultimi anni è fonte di ispirazione e analisi in questo senso per la sua malleabilità artistica, potenza minimalista, dosaggio e profondità emotiva è Pier Francesco Favino.



Come giovane attore quali sono i personaggi che ha portato in scena ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità.

Se si intende “più aderente alla mia persona”, in realtà qui si apre un bel capitolo di confronto, sfruttandone anche un momento di riflessione pedagogica. Mi è capitato di interpretare personaggi che all’apparenza potevano sembrarmi distanti dalla mia personalità e psicologia ma con il lavoro di analisi delle caratteristiche di questi ultimi e di me stesso in rapporto a loro, ho constatato che in realtà c’è sempre un filo invisibile che ci lega. Avremo sempre punti in comune e punti distanti con un personaggio ma forse pochi realmente incomprensibili e inavvicinabili. Se invece esistesse un processo elaborativo di destrutturazione che ne snocciola e isola il nucleo comunicante? Se partiamo dal presupposto che un attore non deve mai avere giudizio verso il personaggio che andrà ad interpretare, da attore e quindi persona che è, tralasciando quindi morale, principi, eccetera, si potranno da ciò porre le basi per avviare quello che è il passo emotivo-empatico e di comprensione del modo di pensare, agire, reagire, percepire del personaggio. È un metodo di analisi che sfrutto sempre nei miei lavori per riuscire a riprendere quella verità esperienziale che portiamo dentro e che parte dalla nostra vita. Come? Siamo tutti esseri umani! Viviamo in modo diverso ma viviamo. Comprendere le motivazioni generatrici, inteso proprio come “sentirti vicino perché posso riuscire a mettermi nei tuoi panni essendo anche io essere umano”, potrebbe aiutare a sostenere e ad avvicinarsi anche al senso stesso di comprensione psicologica ed emotiva, rispecchiandola nella propria relativa sfera, di un personaggio che, ad esempio, è un assassino ma sempre prima “persona”. Non bisogna dimenticare e sottovalutare il fattore umano, basta chiedersi “Perché?”, e ancora e ancora, fino ad arrivare ad una conoscenza sensoriale affettiva e di comprensione psicologica di quelle dinamiche che potrebbero riallacciarsi alle nostre sotto altri aspetti, in altre circostanze, ma che contengono lo stesso valore portante che ne scaturisce: il “nucleo comunicante”. Si dovrebbe tradurre il concetto di “personaggio” in “persona” e conoscere quest’ultimo come il proprio migliore amico, quello che appena lo guardi in viso capisci che c’è qualcosa che non va. Personaggi che ho interpretato e che riconosco come esempi di questo tipo di lavoro sono: “Izar” di “2084 - L’anno in cui briciammo Chrome” di Marcello Cotugno, personaggio antisociale, isolato per volontà, patito dell’informatica, hacker, di cui mi riconosco essere totalmente opposto; allo stesso modo due personaggi che a breve andrò a metter in scena “Paolo Veres” di “L’uomo più crudele del mondo” di Davide Sacco per la regia di Vincenzo Vecchione, e “Maksim” di “Dispacci da Mosca” di Antonio Mocciola per la regia di Giuseppe Cerrone. Il primo tentatore, subdolo, vendicativo, e il secondo di una psicologia densa, omosessuale represso, abusato, portatore di traumi con una perversione verso il potere e la sottomissione. Personaggi decisamente “distanti” ma che sento così incredibilmente vicini adesso che sono a lavoro CON loro. Siamo un poliedro, dobbiamo avere la sensibilità di comprendere a quale e poi da quale delle facce guardare.



Preferisce il cinema   o  il teatro.

Il cinema mi affascina tantissimo, ne amo la recitazione asciutta e minimalista, il pensiero, mi incuriosisce la difficoltà di riuscire ad interpretare scene lontane cronologicamente maturando attorialmente uno sviluppo e cambiamento di status emotivo e narrativo del personaggio da un ciak all’altro. Il teatro però è sensorialmente tutt’altra storia, è un flusso continuo di vita, di sviluppi ed evoluzioni nel “qui ed ora”, di maturazione del cambiamento e del climax in scena, e poi inevitabilmente la presenza del pubblico, considerata o meno a seconda della richiesta di presenza o rottura della quarta parete, è un cocktail emotivo per l’attore. Dal palco percepisci in modo tangibile la tensione, l’armonia o la gioia degli spettatori. Si crea un’atmosfera che inebria e l’attore ne gode un sacco! Questo si vive solo a teatro.

Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo della cultura ai giovani artisti in  un settore  in continuo cambiamento come il teatro, cinema e la televisione ormai assorbite dalla rete?  C’è spazio in Italia per giovani artisti talentuosi ?

Io credo che il mondo della cultura, interconnesso alla formazione e alla competenza, risponde se si vuole cercare e acquisire quest’ultime. Anzi penso proprio, a proposito della formazione, che ad oggi grazie alla rete si ha più facilità nel ricercarla prima e approfondirla poi per selezionarla. Non è detto che ci siano per tutti gli stessi percorsi definiti, di sicuro però ci sono infinite alternative che passano per strade differenti ma che, se è chiaro cosa si vuole aggiungere e apportare al proprio bagaglio, ti rafforzano e accompagnano allo stesso risultato finale. È la volontà che non deve mai mancare ad una persona che sa cosa vuole dalla vita, che è il vero più grande punto interrogativo individuale, quella permette di ottenere qualsiasi cosa che rientri nelle nostre facoltà e, altre volte, addirittura sorprenderci avendo solo provato ad ampliare il raggio d’azione di quelle che credevamo fossero le nostre uniche possibilità. La rete, e tutto ciò che ne deriva ormai, è un dato di fatto, metterla in dubbio probabilmente è anche uno spreco di tempo, è una lotta contro i mulini a vento. L’intelligenza sta nello sfruttarne le potenzialità come un prolungamento mediatico e di comunicazione utile anche per il settore dello spettacolo o per la propria figura artistica. Io ad esempio, utilizzo i social e la rete per pubblicizzarmi sotto l’aspetto artistico e ci sono persone che, grazie a questa ramificazione, mi chiedono confronti specifici in materia proprio perché ho voluto io in primis selezionare l’immagine e la funzione del mio stare in rete. Questa è un’arma aggiunta non una sfortuna, anzi ad oggi probabilmente devo alla rete proprio alcuni contatti che ho stabilito e poi coltivato di persona, i quali mi hanno apportato collaborazioni artistiche e impegni lavorativi. Radicarsi in pensieri tradizionalisti credendo che la rete sia un mezzo contrastante è una visione che avvelena più che prendersi cura dell’arte. Possono esserci possibilità anche cooperando e introducendo i nuovi sistemi alle arti sceniche già esistenti, e non si tratta di snaturare ma di rendere contemporaneo, adeguare forme e risorse comunicative ed espressive puntando ad un innalzamento dell’asticella del margine di potenziale ricavabile. Mi vengono in mente spettacoli o modi di fare teatro incontrati durante i miei studi che utilizzano proprio la rete, il fattore computer e la modalità tecnologica, e quegli strumenti non destrutturavano il senso di “spettacolo teatrale” ad esempio, anzi la prima cosa che si può notare è come il teatro stesso abbia inglobato un qualcosa che si pensa sia totalmente distante. Di conseguenza sostengo che il talento, lo studio e la determinazione vengano sempre ripagati prima o poi. Il messaggio che va tradotto e ricavato da un impatto che può sembrare demoralizzante per fattori che stanno influenzando in questo senso e che i giovani artisti che hanno fame di emergere devono sapere di rimboccarsi le maniche e di dover sudare di più rispetto ad altri che hanno la “fortuna” di arrivarci prima. Il futuro per chi vuole costruirlo è sempre lì ad aspettarlo, l’importante è che non ci si lasci abbattere e sviare dalle pressioni che contaminano i propri obiettivi e scopi. La qualità vince sempre in qualsiasi campo.

Il rapporto con la sua città Natale .

La mia città natale è Cava De’ Tirreni, in provincia di Salerno, ma la mia vita è stata ed è tutt’ora un continuo viaggiare e non stanziarsi mai. Ad oggi non mi definisco e rappresento da un solo contesto sociale, mi sento cittadino del mondo e vi spiego perché. Nasco a Cava ma subito dopo un anno la mia famiglia si trasferisce per esigenze in un paesino in provincia di Avellino, il quale praticamente mi adotta e cresce fino ai 19 anni, prima di ritrasferirci nuovamente nella mia città natale. Un tempo e una fascia d’età dove impari a rapportarti al mondo secondo i modi di fare e di vivere del preciso contesto. Dico adotta perché la mia famiglia non ha mai realmente lasciato le radici cavesi e, avendo legami affettivi a Cava, vivevo, pur se non frequentemente, anche il contesto cavese e le sue influenze intrise naturalmente anche nel nucleo famigliare. Quando però inizio a frequentare l’università di Salerno e in contemporanea il percorsi attoriali a Napoli, subisco e provo la scoperta dell’altro, vivo nuovi modi di pensare, relazionarsi, intendere, frutto del confronto con ragazzi e adulti che vivevano contesti differenti di città differenti. Napoli attualmente è la mia seconda città adottiva, sulla quale continuo a formarmi artisticamente, su cui ho instaurato rapporti interpersonali e lavorativi artistici e posso affermare di vivere più Napoli che Cava. Non sono mai stato una persona fossilizzata mentalmente o abitudinaria, ho sempre osservato, ascoltato, acquisito e rielaborato ogni esperienza comunitaria e questo vivere il mondo nelle sue mille sfaccettature tramite la voce, il pensiero e i modi di fare delle persone ha formato quella che è la mia persona in rapporto all’essere umano. Tra l’altro questo mio lato antropologico, se si può definire così, lo rifletto anche nella recitazione dove ci si trova ad approcciarsi a vari comportamenti umani di individui che sono a tutti gli effetti prodotti sociali e culturali. Questo mio essere figlio del mondo mi fa sentire di appartenere a tutti.

I suoi prossimi impegni.

A breve sarò in scena con due bei spettacoli di grande impatto sociale e umano di cui prima accennavo: “Dispacci da Mosca - qualcuno deve morire”, in scena in prima nazionale al Teatro Tram di Napoli dal 15 al 17 dicembre. Da un'idea di Roberto Schena, con la drammaturgia di Antonio Mocciola, per la regia di Giuseppe Cerrone, con contributi storici e teologi di Edgardo Bellini e Maurizio Biancotti, seminano velenosi strali che prendono di mira i deliri militari e religiosi che autorizzano migliaia di sacrifici umani, e il machismo tossico alla base di ogni violenza. Una tragica roulette-russa regola i destini di tre soldati russi, ragazzi dalle vite e dalla personalità completamente diverse, in missione di guerra in Ucraina, di cui io vestirò i panni di uno dei protagonisti delle vicende. Attorno a loro, le ambiguità della Chiesa ortodossa, la violenza delle istituzioni, il consenso ammaestrato della società civile, il ruolo ambiguo del Kazakistan, l'omosessualità, la guerra, il potere, il baratto, il ricatto sessuale. I temi sono tanti, tutti intrecciati in un vortice di relazioni tossiche e corrotte e il resto del mondo che si gira dall'altra parte. Nelle loro piccole storie, sui loro corpi sacrificati, si riflettono gli eterni vizi dell'uomo. Tutti capiscono di essere semplice carne da macello, senza un cervello, senza un corpo, senza un’identità. Burattini armati.

Emergono le differenze di vedute, spesso opposte, sulla vita e sulla guerra.

“Dispacci da Mosca” richiama l’attuale situazione russo-ucraina, ma può senz’altro estendersi a tutte le guerre passate, presenti e – con ogni probabilità – future.

Poi “L’uomo più crudele del mondo”, in scena al Teatro Ateneo (NA) dal 19 al 21 gennaio e allo ScugnizzArt Teatro (NA) il 23 e 24 marzo, da un testo di Davide Sacco, messo in scena dal giovane regista e attore Vincenzo Vecchione sotto un proprio originale riadattamento. Una stanza come unico scenario per tutto l’atto unico coinvolge gli unici due personaggi dell’intera narrazione. Paolo Veres (Graziano Purgante), magnate di un’industria bellica, ha scelto un giovane giornalista (Vincenzo Vecchione) di una testata locale, non a caso, per intervistarlo. La chiacchierata prende una strana piega e l’intervistato diventa intervistatore e viceversa. Lo spettacolo si costruisce intorno ad una domanda celata, tema portante dell’intero spettacolo: quanto crediamo ci sia di “umano” nell’uomo e quanto invece c’è di “bestia” nei nostri intimi meandri? È in un susseguirsi di serrati dialoghi che emergono le personalità dei due personaggi. Si presenta una proposta, “vivere o morire”. Il passato è ciò che determinerà il loro futuro e quella stanza, diventata ormai gabbia, è allestita per uno scopo. Tensione, smarrimento, prese di coscienza, paura e perversione, determineranno chi sopravvivrà.

In fase di elaborazione, ma già in programma per l’anno venturo, ci sono altri due progetti che nascono ancora dalla penna sensibile di Antonio Mocciola, che ha visto in me delle qualità poliedriche per dar voce e corpo a protagonisti di sue idee, e che mi vedranno in scena a partire da Napoli e attraccando in altre sale in giro per l’Italia: un testo biografico sulla vita tormentata e dannata dell’attore americano Montgomery Clift e un testo che viaggia nella pluriessenza terrena, onirica e ultraterrena dell’affresco funerario greco del Tuffatore di Paestum. Ma di queste nuove avventure di sicuro avremo modo di discuterne in modo più approfondito prossimamente!


















 


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