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L’Étranger, François Ozon. Tutto quello che ci piace e solo quello che ci piace sul festivla del cinema di Venezia.

set 2, 2025 0 comments

FILM 6

 L’Étranger, François Ozon: “Rileggo Camus con sguardo contemporaneo. Ero un po’ angosciato, avevo un altro progetto su un giovane di oggi che si interroga sull’assurdità di questo mondo, ma non ho trovato gli investimenti. Poi ho riletto Lo straniero” dice il regista in Concorso alla Mostra 


Di che cosa parla davvero Lo Straniero di Camus (che Francois Ozon riporta al cinema dopo quasi 60 anni). In una storia in cui il protagonista è indifferente alla vita quanto alla morte, Ozon potrebbe aver costruito una metafora del presente. E la porta in concorso a Venezia


IN QUESTA NUOVA, SERIA, FREDDA VERSIONE DI “L’ETRANGER”, CAPOLAVORO DI ALBERT CAMUS, SCRITTA E DIRETTA DA FRANÇOIS OZON, IL REGISTA SCEGLIE UN BIANCO E NERO E UNO SCHERMO ANNI ’30 PER INQUADRARE ALGERI E I PROTAGONISTI DELLA STORIA, EVITANDO COSÌ TROPPI CONFRONTI CON L’ORMAI LONTANO MA ESPLOSIVO E SFORTUNATO “LO STRANIERO” DI LUCHINO VISCONTI - È UNA BUONA VERSIONE DEL ROMANZO E BENJAMIN VOISIN FA UN ECCELLENTE LAVORO SU MEURSAULT. PER QUANTO BELLO MANCA DI QUALCOSA



Il ritorno dello straniero



A più di ottant’anni dalla pubblicazione, L’étranger di Albert Camus continua a risuonare con la stessa potenza di un enigma irrisolto. Dopo Luchino Visconti nel 1967, è François Ozon a raccogliere la sfida di adattare per il cinema uno dei romanzi più celebri e letti del Novecento. Lo fa presentandolo in concorso a Venezia 82, con un film rigoroso e poetico, che sceglie il bianco e nero come linguaggio estetico e morale.



Ozon ha confessato che affrontare un testo tanto iconico lo ha messo in uno stato di ansia e dubbio. Ma l’interesse per la materia era più forte delle apprensioni: nelle pieghe del romanzo ritrovava una parte rimossa della sua storia familiare. Il nonno, giudice istruttore a Bône negli anni ’50, sfuggì a un attentato durante la guerra d’Algeria, e quell’episodio segnò per sempre il destino dei suoi cari. Portare Camus al cinema significava dunque fare i conti non solo con la letteratura, ma anche con una memoria personale e collettiva.

FILM 5



"Nuestra Tierra" è un documentario del 2025 diretto dalla regista argentina Lucrecia Martel presentato al Festival di Venezia 2025. Il film affronta il caso di Javier Chocobar, leader della comunità indigena Diaguita ucciso nel 2009 mentre difendeva le terre ancestrali dalla violenza di un tentativo di sfratto. Attraverso la combinazione di voci della comunità, immagini del processo giudiziario e filmati d'archivio, Martel esplora la lunga storia di colonialismo, espropriazione e lotta per la terra in America Latina. 


“NUESTRA TIERRA”, DELLA REGISTA ARGENTINA LUCRECIA MARTEL, È UN DOCUMENTARIO STRARDINARIO SUL PROCESSO A TRE EX POLIZIOTTI PER L’OMICIDIO DI UN LEADER INDIO, JAVIER CHOCOBAR. LA MORTE DEL SINDACALISTA È UN PRETESTO PER UN RAGIONAMENTO PIÙ COINVOLGENTE E ALLARGATO SUL RAZZISMO DI UN PAESE, L’INGIUSTIZIA SOCIALE. PRESENTATO FUORI CONCORSO, POTEVA PER L'ALTO VALORE STORICO  ESSERE INSERITO NEL CONCORSO…



FILM 4

Jacob Elordi: "Tutti i rifiuti ricevuti a Hollywood, le ferite visibili e quelle più nascoste, Jacob Elordi le ha riversate nella sua Creatura di Frankenstein: gigantesca e vulnerabile. «Mi riconosco più in lei che in me stesso"



Tra i più attesi al Festival di Venezia 2025, Jacob Elordi è arrivato al Lido per accompagnare la prima mondiale di Frankenstein, il nuovo film di Guillermo Del Toro in concorso. Ventisette anni, australiano, Elordi è ormai diventato un idolo della Gen Z: dai primi passi nella saga di The Kissing Booth su Netflix, che lo ha trasformato in volto popolarissimo tra gli adolescenti, al salto di qualità con la serie cult Euphoria, fino ai ruoli più maturi in Saltburn e Priscilla, che lo hanno consacrato come uno degli attori più versatili e richiesti della sua generazione.



Il corpo e la voce della Creatura di Frankenstein

È un compito difficile quello affidato a Elordi. Deve essere possente, ma infinitamente fragile. Imponente eppure dare l’impressione che sia il mondo intorno a lui a incutergli timore, non il contrario. Il corpo è lungo e affusolato, come la creatura de La forma dell’acqua, col busto inarcato e la schiena arrotondata, di un bianco lattiginoso come lo era il fauno del famoso labirinto sempre di Del Toro, con la pelle indistruttibile e capace di rigenerarsi.



Il corpo e la voce della Creatura di Frankenstein

È un compito difficile quello affidato a Elordi. Deve essere possente, ma infinitamente fragile. Imponente eppure dare l’impressione che sia il mondo intorno a lui a incutergli timore, non il contrario. Il corpo è lungo e affusolato, come la creatura de La forma dell’acqua, col busto inarcato e la schiena arrotondata, di un bianco lattiginoso come lo era il fauno del famoso labirinto sempre di Del Toro, con la pelle indistruttibile e capace di rigenerarsi.. MA LA FATICA DI QUESTO “FRANKESTEIN”, CHE A TRATTI LASCIA INTERDETTI, È DATA IN GRAN PARTE DALLA COSTRUZIONE VISIVA DA FANTASY TARGATO NETFLIX, TUTTO UN PO FINTO – JACOB ELORDI SI MANGIA IL FILM ANCHE SE NON E' IL SUO CAPOLAVORO.



FILM 3

The Last Viking (En Sidste Viking), presentato Fuori Concorso alla Mostra di Venezia, è la nuova opera di Anders Thomas Jensen con Mads Mikkelsen e Nikolaj Lie Kaas: un viaggio epico e ironico tra mito e quotidianità, dolore e commozione, dark comedy e poesia. Un film che ride e ferisce, che intreccia identità smarrite e traumi nascosti, ricordandoci che siamo tutti un po’ vichinghi, un po’ folli, un po’ fragili



 “THE LAST VIKING”, SCRITTO E DIRETTO DA ANDERS THOMAS JENSEN, E' UNA DIVERTENTE  E VIOLENTA DARK COMEDY CON UN GRUPPO DI DANESI FOLLI CHE SI CREDONO I BEATLES E GANGSTER VIOLENTI ALLA RICERCA DI UNA BORSA  PERDEUTA - A PARTE LA SORPRESA  DI TROVARE MADS MIKKELSEN NEL RUOLO DI UNA PERSONA PROBLEMATICA CHE SI CREDE JOHN LENNON E TENTA SERIALMENTE IL SUICIDIO, BISOGNA DIRE CHE IL FILM E' PIUTTOSTO RIUSCITO A TRASFORMARSI IN UNA COMMEDIA DI SANGUE -


The Last Viking ha qualcosa di fiabescoC'è un tesoro ma non è quello sepolto sotto terra, è fatto di ricordi, anche quelli dolorosi  che spesso allontaniamo dalla nostra vita per proteggerci, invece è anche parte di ciò che ci ha forgiato.  La regia di Jensen è discreta, sa quando tenere la distanza e lasciare briglia sciolta agli attori, quando invece prendersi un po' più spazio. L'umorismo è semplicemente irresistibile, decostruisce il crime, l'heist movie, è una nuova strana coppia abitata da un sacco di gente che si sopravvaluta per finta: lo stilista fallito, l'ex modella, una cover band dei Beatles tra le più ridicole mai concepite. Sono i pazzi ad avere dentro di sé la verità in questo film, quella che riguarda anche un paese, la Danimarca, con diversi problemi per quello di razzismo, intolleranza e asocialità. Ma questa è soprattutto una black comedy e in quanto tale fa divertire sempre anche con toni forti, violenti, armonizzati da un animo chapliniano. 



FILM 2

«After the Hunt»: Julia Roberts star di Guadagnino fra gelosie, razzismo e troppi interrogativi 

È un intricato e affascinante dramma/thriller che esplora con naturale eleganza le atmosfere alto borghesi delle aule dell’elitario campus



“AFTHER THE HUNT” DI LUCA GUADAGNINO È UN FILM DI GRANDE MATURITÀ. AFFRONTA UNA SERIE DI TEMI CONTEMPORANEI, COME IL DIALOGO TRA GENERAZIONI DIVERSE SEMPRE PIÙ LONTANE, I RAPPORTI DI CLASSE E DI RAZZA, LA COSTRUZIONE DELLA VERITÀ E DELLA GIUSTIZIA, CHE È IL GRANDE TEMA RICORRENTE DI TANTI FILM, IL RAPPORTO TRA LA MORALE PERSONALE E LA MORALE SOCIALE. E JULIA ROBERTS È SPETTACOLARE NEL SUO RUOLO.  È UN FILM  DIFFICILE…

“IL FILM DI GUADAGNINO FA DISCUTERE? È QUELLO CHE VOGLIAMO” - JULIA ROBERTS, “AFTER THE HUNT” CHE RIACCENDE I RIFLETTORI SUL MOVIMENTO FEMMINISTA “METOO” - A CHI LE CHIEDE SE QUESTO FILM SARÀ CONSIDERATO POLITICAMENTE SCORRETTO, ROBERTS RISPONDE CON L'IRONIA: “AMO LE DOMANDE LEGGERE DI PRIMA MATTINA. NON SO SE CI SARANNO POLEMICHE, MA NOI VOGLIAMO SFIDARE LE PERSONE A DISCUTERE..."

 "AFTER THE HUNT " DI LUCA GUADAGNINO HA SPACCATO LA CRITICA IN DUE. IL PUNTEGGIO PIÙ BASSO FRA TUTTI I FILM DI GUADAGNINO. SE LEGGETE COSA SCRIVONO I GIOVANI CRITICI DI LETTERBXD, IL FILM È GIA' UN CULT. MA I CRITICI PIÙ ANZIANI NON LA PENSANO COSÌ. DAVID ROONEY SU "THE HOLLYWOOD REPORTER" SCRIVE: "SEMBRA QUASI INVEROSIMILE CHE IL TALENTUOSO REGISTA CHE CI HA APPENA REGALATO L'ESUBERANZA FRIZZANTE DI CHALLENGERS E L'EBBREZZA INEBRIANTE DI QUEER POSSA REALIZZARE QUALCOSA DI COSÌ CUPO E SENZA ARIA". 

FILM 1

Jay Kelly, presentato in concorso al Festival di Venezia, e dal 5 dicembre su Netflix. L’attore George Clooney interpreta un divo americano del cinema in crisi con la famiglia. È una star di successo che non si ferma un minuto, ha un manager che lo segue a rotta di collo (Adam Sandler), elicotteri e jet privati che lo scarrozzano in ogni luogo.


Il mestiere che lo ha reso celebre ovunque, purtroppo, ha allontanato da lui le figlie Jessie e Daisy. La prima vive lontano e sembra che con lei il rapporto sia irrecuperabile. Con la seconda, forse, il padre fa ancora in tempo a recuperare una relazione sfilacciata, prima che lei parta per il collage. Per questo, Jay Kelly decide di rinunciare alle riprese del suo nuovo film e raggiunge la figlia in vacanza a Parigi con il fidanzato, per poi andare a ritirare un premio a Pienza. All’evento invita il padre (anche con lui le cose non vanno bene), le figlie, alcuni amici e il suo entourage. Nella sua testa Jay spera che quel tributo si trasformi in un momento di riconciliazione con la famiglia. Le cose, però, non vanno così bene e lui si ritrova a fare i conti con sé stesso e con l’immagine di sé.

“JAY KELLY”, IL FILM DI NOAH BAUMBACH CON GEORGE CLOONEY,  E' PERFETTO NELLA PRIMA PARTE, MOLTO AMERICANO NEI TEMPI E NEL LINGUAGGIO. IL FILM INIZIA A PERDERE CREDIBILITA' QUANDO L’AZIONE SI SPOSTA IN EUROPA, DOVE DIVENTA UNA FICTION O NOVELA CHE SI VOGLIA INGUARDABILE - TRA REALISMO E FINZIONE SI FINISCE PER NON CAPIRE NULLA. MEDIOCRE

… ma veniamo al Rumore che crea un ponte col cinema di Sorrentino

Jay Kelly con il suo team sbarca a Parigi. Da lì prosegue in treno verso Pienza. C’è molta Italia nel film di Baumbach. Oltre alla campagna Toscana e ai suoi panorami si riconoscono diversi attori italiani, tra cui Alba Rohrwacher e Giovanni Esposito. Ci sono anche due canzoni che arrivano dritte all’orecchio: Kobra di Donatella Rettore e Rumore di Raffaella Carrà. A Pienza, durante un party, Jay Kelly (George Clooney) non resiste: quando si levano le note della canzone della Carrà, si lancia in pista a ballare, quasi stesse a un party de La grande bellezza, dove, però, a risuonare era A far l'amore comincia tu, e Gambardella entrava in modalità festa quasi in un automatismo, un riflesso condizionato. Jay, probabilmente balla per non pensare o per alleggerire quello che ha dentro. In ogni caso, una toppa o, peggio, una maschera. Quel brano gli permette, solo temporaneamente, di lasciarsi alle spalle gli errori fatti nel corso di una carriera lunga 35 anni, ai quali sembra non poter più rimediare.

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