Kerkouche racconta: «Nella mia infanzia c’era molta più tolleranza per la diversità rispetto alla società di oggi, frammentata e suddivisa per etichette. Prima era più semplice la coesistenza nei quartieri della periferia dove tutto si mescolava: ebrei e arabi, neri e bianchi, insieme senza problemi. Ho vissuto questa doppia cultura come una grande ricchezza che continua a ispirare le mie creazioni anche in modo sottile. Le differenze si sono amalgamate in me». E la sua danza parla di questo, anche grazie a una compagnia di danzatori e danzatrici (fondata nel 2017), dai venti ai sessantasette anni, provenienti dalle più diverse esperienze – hip hop, street jazz, cabaret, circo contemporaneo. Le relazioni umane sono al centro del suo nuovo lavoro Portrait. «Ho sviluppato l’idea di riunire in scena un gruppo di persone che non si sono scelte tra loro, ma che costituiscono un insieme nel quale le emozioni evolvono di continuo» – afferma. «Come in ogni famiglia, si può nutrire una rabbia profonda verso qualcuno e l’indomani sentire il bisogno di riabbracciarlo, perché quella persona resta tua madre, tuo padre, o un riferimento fondamentale della tua vita. C’è poi la “famiglia del cuore”, quella che ognuno di noi si costruisce al di là dei legami di sangue. Questi due tipi di famiglia coabitano nella vita di tutti». Una ricerca che è anche une festa, ballata sulla musica pop di Lucie Antunes. «Il ballo appartiene ai momenti più belli della vita: feste, nozze, celebrazioni. Perciò può toccare la gente, dagli spettatori più informati a quelli totalmente digiuni. Da direttore del Centro Coreografico Nazionale di Créteil colgo la sfida di creare in Francia, dove il sistema della danza è molto segmentato, un ponte tra contemporaneo e balletto, flamenco e danza di strada, e nel più ampio spettro possibile, dai musei al circo contemporaneo».
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