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L'attore Salvatore Langella: " Io sono un ricercatore dell’arte performativa. Sperimento con la comunicazione da anni e cerco delle forme, non necessariamente estetiche."

giu 21, 2024 0 comments

        


      Salvatore ci racconti di Lei, chi è Salvatore Langella come persona?

Poche parole: sono un attore, un danzatore ed un musicista. E da qualche anno mi occupo di regia. Sono quello che ultimamente si ama molto definire come “performer” per quanto non credo che questa parola mi definisca del tutto. Almeno non nel mio lavoro. Il nostro lavoro non è sempre e solo performativo. Dietro alla recitazione e alla danza, ci sono anni, decenni di ricerca. Ecco io sono un ricercatore dell’arte performativa. Sperimento con la comunicazione da anni e cerco delle forme, non necessariamente estetiche. Poi al di là di questo, sono un uomo con una fissazione “semplice”: comunicare. Tutta la mia vita è votata alla comunicazione tra le persone, verbale, fisica, sonora, visiva. Se si pensa che nel tempo libero insegno italiano agli stranieri, questo fa capire molto del mio atavico desiderio di comunicare.



Come nasce la sua passione per la recitazione?

In realtà nasce dalla danza. La confidenza con il palco, le assi di legno ed il pubblico deriva dalla mia relazione intima con il mondo della danza classica e contemporanea che ho studiato fin da bambino. Ancora oggi studio teatro danza con compagnie internazionali come la compagni Geko Theatre, una delle più importanti al mondo in questo ambito. La recitazione è arrivata dopo, ma come dico sempre anche ai miei studenti di recitazione, anche quando si fa cinema, bisogna partire dal corpo. Se non conosci come muovere il tuo corpo, non puoi trasferire tutto nelle parole, nella voce, nella mimica facciale con accuratezza.



Lei ha debuttato in televisione accanto a Francesco Pannofino e Pietro Sermonti nel fortunato remake di Nero Wolfe. Un debutto di tutto rispetto, cosa ricorda di quell’esperienza.

La generosità dei colleghi. Ero alle prime armi, il mio primo set. Giovanissimo. Agitatissimo. E fresco di diploma della Scuola Nazionale di Cinema. Ricordo la serenità e l’accoglienza con cui Francesco mi ha aiutato a superare alcuni momenti di difficoltà sul set dettati dalla personale inesperienza, e l’energia che Pietro mi infondeva ogni giorno. Aggiungo alla lista la geniale Giulia Bevilacqua con cui ho avuto il piacere di girare la maggior parte delle scene e da cui ho imparato tantissimo.



Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?

Sono un amante e replico umilmente le tecniche inglesi di maestri come Sir Michael Caine, elegantissimo in ogni sua interpretazione, o il geniale Ian McKellen. Più recentemente, non posso non citare Andrew Scott, di cui divoro ogni interpretazione e cerco di farne tesoro. Ho avuto la fortuna di vederlo live in scena a Londra. Un genio.


Lei ha studiato e lavorato con due mostri sacri del cinema Lina Wertmuller e con Marco Bellocchio. Il suo ricordo.

Con Lina ho studiato micromimica gli anni del Centro Sperimentale. Un genio assoluto, estroversa, diretta, senza filtri. Studiavo micromimica, cioè tutto quell’insieme di tecniche apparentemente invisibili che servono a recitare anche solo con un sopracciglio. A volte basta niente e sul volto di un attore appare un mondo. Avendo io una “faccia di gomma”, potete immaginare quanto il maestro Wertmuller si sia divertita a spronarmi e anche bonariamente sgridare ed il mio sopracciglio che vive di vita propria. Marco Bellocchio ha guidato alcuni registi del CSC in dei cortometraggi ispirati a “Delitto e castigo” di Dostoveskij. Io ho avuto la fortuna di recitare insieme a Piergiorgio Bellocchio e Giulia Weber in una versione folle del sogno di Raskolnikov. E’ stata un’esperienza straordinaria.



Come attore quali sono i personaggi che ha portato in scena ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità.

Recentemente sono stato in scena con la versione italiana di “Tom a la ferme”, con la regia di Giuseppe Bucci, capolavoro del canadese Michel Marc Bouchard e da cui Xavier Dolan ha tratto l’omonimo bellissimo film. Io avevo il ruolo del protagonista, un giovane ragazzo queer vessato e violentato psicologicamente da un uomo omofobo e da cui è stranamente attratto. È uno… forse il più difficile ruolo che abbia mai interpretato. E mi ci sento molto vicino. Non perché io abbia subito le stesse violenze che subisce Tom, il protagonista, ma perché io, da artista appartenente alla comunità Lgbtqia+, conosco bene quell’aria soffocante che lui respira per tutto lo spettacolo. Non lo nascondo: seppur si siano fatti moltissimi passi avanti, in Italia è ancora difficile far parte della comunità Lgbtqia+ e sentirsi non oppressi dal giudizio. Diversi settori lavorativi sono ancora legati a stereotipi di genere fortissimi, anche il mondo dello spettacolo. Essere liberamente queer è molto difficile in Italia, forse oggi ancora di più. Mentre rispondo a questa domanda, ad esempio, nonostante conosca bene l’inclusività della vostra testata, una piccola voce dentro di me trema, con la paura che queste parole possano essere inficianti, ad esempio, per il mio lavoro. È un retaggio, certamente, perché so che non è così. Voglio credere che non sia così, ma la sola presenza di quella piccola agitazione, è il segno che qualcosa non funziona ancora nel sistema.



Con lo spettacolo teatrale “Parlami Orlando”, con la regia di Giuseppe Bucci ha vinto il premio Napoli Cultural Classic 2019 nella sezione speciale giovani attori per l’interpretazione.

Amo quello spettacolo. Non smetterò mai di ringraziare Giuseppe Bucci per avermi consentito di interpretare Virginia Woolf con così tante sfaccettature. È un libro meraviglioso e modernissimo. Uno spettacolo in cui ho (abbiamo) davvero riversato tutto me stesso, anima e corpo. E credo che si sia visto. Abbiamo fatto sempre il tutto esaurito ed il Napoli Cultural Classi, come sempre, ha intuito l’importanza di premiare un testo così alto ed anche in qualche modo educativo.



Da attore a musicista. Come nasce l’esigenza di scrivere musica.

Mia madre era una pianista. Mia nonna era una pianista. Il pianoforte è sempre stato presente nella mia vita, ancor prima di nascere. Scrivere musica è una necessità quasi viscerale. Seppur io non sia così pubblico da questo punto di vista, scrivere musica e testi soddisfa il mio atavico desiderio di comunicazione. Ma questo desiderio ha fortunatamente trovato spesso il suo sfogo. Nel 2019 e nel 2020 ad esempio, il grande Filippo Timi mi diede la possibilità di scrivere per lui ed interpretare sul palco con lui, alcune cover in stile neo-melodico napoletano, dei più grandi pezzi della musica pop anni ’70 e ’80. Lo spettacolo si intitolava Skianto e prodotto dal Teatro Franco Parenti di Milano. Tutto esaurito per mesi di tournée. Una delle esperienze più formative e felici della mia vita. Quando ti ricapita di cantare “Don’t stop me now” dei Queen con Filippo Timi davanti centinaia di persone al Teatro Bellini di Napoli, re-intitolata per l’occasione “Nisciun me fermerà”? Che momento.



Preferisce il cinema o il teatro?

Uh, che domanda? Da vedere o da “fare”. Da vedere forse preferisco il Teatro, perché non ho la possibilità di “cambiare canale” e quindi sono costretto a seguire tutto. Viviamo in un’epoca in cui facciamo “swipe” così costantemente che non siamo più abituati a prenderci un momento per mettere a fuoco ciò che davvero ci viene comunicato. Se lo facessimo più spesso, forse potremmo scoprire qualcosa di nuovo. Potrebbe farci bene fermarci e ascoltare.

Per quanto riguarda farlo, è una domanda a cui non riesco e non riuscirò mai a rispondere. Sono due lavori diversi, completamente, seppure simili in alcuni aspetti. Il cinema richiede tempi infiniti, silenzi e ripetizioni. Richiede attenzioni microscopiche. Il teatro richiede ascolto del pubblico, empatia “live”, adrenalina ogni sera… Forse, forse mi piace fare di più il teatro, però non diciamolo troppo ad alta voce, dai.



Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo della cultura agli attori in un settore particolare e in perenne cambiamento come il teatro, cinema e la televisione ormai assorbite dalla rete? C’è spazio in Italia per artisti talentuosi?

C’è sicuramente spazio per attori talentuosi. Anche se si ha sempre più spesso la sensazione che questo settore premi qualità più effimere, non lasciatevi fregare. Alla lunga, l’artista senza talento si appassisce come un fiore. Non è la visibilità social o il numero di film che contano. Né tanto meno la bellezza estetica o la presenza televisiva. E’ il messaggio. Che cosa racconti? Che cosa divulghi. Gli attori hanno un’arma enorme, possono cambiare il mondo raccontando storie. Possono cambiare le opinioni di masse intere, paesi. Possono davvero migliorarlo questo mondo. Se pensate che nessuno vi stia dando uno spazio o un’occasione per farlo, cercatevelo da soli. Aggregatevi, scrivete, esibitevi. Rompete gli schemi perché questo lavoro è più potente di quanto possiate immaginare.



Il rapporto con la sua città Natale.

Quale? Eheh. Io sono un ibrido. Nato in Friuli Venezia-Giulia da una famiglia di Napoletani. Per l’esattezza di Torre del Greco. Vesuvio. Con il Friuli sono in pace. È il luogo della calma per me. Quasi del “ritiro spirituale”. Con il Vesuvio ho una relazione in costante evoluzione. Amo Napoli. Ogni volta che torno in scena qui sento un’accoglienza come mai da nessun’altra parte. Nonostante il pubblico napoletano sia difficile. Inoltre Napoli è un fermento, da secoli. È cultura viva, in movimento. Amo questa città.



I suoi prossimi impegni.

Non posso dire molto, anche perché da buon discendente napoletano, sono molto scaramantico. Posso dire che a breve partirò per gli Stati Uniti con un progetto che mi vedrà coinvolto per diversi mesi ed in cui coprirò “diversi ruoli”. Sarà un’estate molto lunga ma non vedo l’ora!



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