Un'opera morbida che non rinuncia ad essere atto d'accusa
Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha raccontano la quotidianità iraniana, sfidando le regole del regime teocratico. E rivelando ancora una volta la potenza dell'arte. Al cinema dal 23 gennaio.
Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha non hanno potuto lasciare l'Iran nel febbraio del 2024 per accompagnare il loro film al Festival di Berlino. Un embargo preceduto dal blocco dei loro passaporti, quando gli sono stati confiscati prima i documenti e, poi, il materiale di lavoro (con tanto di irruzione negli uffici di post-produzione) de Il mio giardino persiano (My Favorite Cake, titolo originale). L'accusa? "propaganda contro il regime e minaccia alla sicurezza nazionale". Al solito, un'accusa medievale e fuori da ogni logica.
«Il mio giardino persiano», lo spazio della bellezza oltre ogni censura
Trama
Vedova da una trentina d'anni, la settantenne Mahin non ha mai voluto risposarsi e da quando la figlia è partita per l'estero vive sola a Teheran nella sua grande casa con giardino. Stanca della solitudine, dopo un pranzo con le amiche che l'ha spinta a cercare la compagnia di un uomo, Mahin avvicina l'anziano tassista Faramarz, ex soldato anche lui destinato a restare solo, e con gentilezza lo invita da lei per passare una serata insieme. L'incontro inaspettato si trasformerà per entrambi in qualcosa d'indimenticabile.
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