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Arlecchino?scritto e diretto da Marco Baliani

feb 24, 2025 0 comments

 

Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere

Info 0823799612

Mercoledì 26 febbraio, ore 21.00

 

Teatro Verdi di Salerno

info 089662141

Da giovedì 27 febbraio a domenica 2 marzo

(giovedì, venerdì e sabato ore 21.00, domenica ore 18.00)

 

Gli Ipocriti Melina Balsamo

presenta

 

Andrea Pennacchi in


 

Arlecchino?

Liberamente tratto da Arlecchino, servitore di due padroni di Goldoni

scritto e diretto da Marco Baliani

 

con

Marco Artusi, Maria Celeste Carobene, Miguel Gobbo Diaz,

Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, Anna Tringali

 

scene Carlo Sala, disegno luci Luca Barbati

musiche eseguite dal vivo con Matteo Nicolin, Riccardo Nicolin

 

“In ogni epoca bisogna lottare per strappare la tradizione al conformismo che cerca di sopraffarla” (Walter Benjamin)

 

L’Arlecchino che Andrea Pennacchi porta in scena farà forse sussultare i tanti Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della commedia dell’arte.

Lui cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ne azzecca una, è goffo, sovrappeso, del tutto improbabile, ma è in buona compagnia: gli altri attori, che, come lui, sono stati assoldati, con misere paghe, dall’imprenditore Pantalone, sono, al pari di Arlecchino, debordanti, fuori orario, catastroficamente inadeguati. 

Eppure tutti questi sbandamenti, queste uscite di scena e fughe dal copione, che sono anche uscite nella contemporaneità dell’oggi, queste assurde prestazioni, queste cadute di stile e cadute al suolo di corpi sciamannati, tutte queste parole affastellate, tutto questo turbinio di azioni e gesti, stanno proprio rifacendo il miracolo della grande commedia goldoniana, in una forma non prevista, una commedia dirompente, straniante, che ricostruisce la tradizione dopo averla intelligentemente tradita. 

Ed ecco allora che la storia, nonostante tutto, anzi proprio grazie a questo tutto invadente, si dipana nella sua narrazione e ne esce un Arlecchino mai visto che riunisce stilemi diversi, frammenti di cabaret, burlesque, avanspettacolo, commedia, dramma, un gran calderone ultrapostmoderno che inanella via via pezzi di memoria della storia del teatro.
Per riuscire a creare un simile guazzabuglio di intenzioni, per riuscire a renderlo eccezionalmente vivo, occorrevano attori capaci di seguirmi in un simile delirio. Ed eccoli qui, una compagnia di compagni e complici, Marco Artusi, Maria Celeste Carobene, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, e Anna Tringali, capaci di interpretare contemporaneamente più ruoli, di passare dalle proteste borbottanti degli attori sottopagati, alle vorticose azioni dei personaggi della commedia che pur devono rappresentare.
In questo incessante salto mortale di identità è il loro talento a tenere insieme ciò che di continuo sembra sfuggire alla presa. Appartengono di diritto alla grande tradizione del teatro veneto, grande perché sempre capace di rischiare per rinnovarsi, come accade su queste tavole sceniche imbandite di follia arlecchinesca. 

Durante le prove immaginavo di avere Carlo Goldoni seduto in terza fila, e dovevo dirgli di fare silenzio tanto si sganasciava dalle risate, con gli occhi stupiti di bambino mai cresciuto di fronte a questa sua opera divenuta così inverosimile da essere ancor più sua.

E quando poi le musiche di Giorgio Gobbo accompagnate dalla batteria di Riccardo Nicolin si infilavano come blitz sorprendenti costringendo gli attori a divenire anche danzanti e cantanti il Goldoni là dietro non si teneva più. 

Infine che dire delle scene fluttuanti di Carlo Sala, una scenografia semovente, mobile, semplice come lo è la creatività quando si dimentica di dover fare bella figura e si lascia andare al gioco infantile, grazie agli stessi attori che si fanno operai macchinisti modificando la scena di continuo come avvenissero improvvise folate di vento, a volte in forma di bufera a volte come zefiro primaverile.

Il testo febbrilmente rimaneggiato ogni giorno, a partire dalle intuizioni che sorgevano in me, vedendo all’opera la creatività degli attori, e trascritto con solerzia da Maria Celeste Carobene, è proprio quello che fin dall’inizio avevo immaginato. Le parole che vengono fatte volare sono anch’esse leggere, eppure, eppure, come accade davvero nella vera commedia, arrivano stilettate e spifferi lancinanti che parlano dei nostri giornalieri disastri di paese e di popolo, così che i terremoti scenici ci ricordano il traballare quotidiano delle nostre esistenze.

Marco Baliani

 

 

 

 

 

 

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