Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere
Info
0823799612
Mercoledì 26 febbraio, ore 21.00
Teatro Verdi di Salerno
info 089662141
Da giovedì 27 febbraio a
domenica 2 marzo
(giovedì, venerdì e
sabato ore 21.00, domenica ore 18.00)
Gli Ipocriti Melina Balsamo
presenta
Andrea Pennacchi in
Arlecchino?
Liberamente tratto da Arlecchino, servitore
di due padroni di Goldoni
scritto e diretto da Marco Baliani
con
Marco Artusi, Maria Celeste Carobene, Miguel
Gobbo Diaz,
Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, Anna
Tringali
scene Carlo Sala, disegno luci Luca Barbati
musiche eseguite dal vivo con Matteo Nicolin,
Riccardo Nicolin
“In ogni epoca bisogna lottare per strappare la tradizione al conformismo
che cerca di sopraffarla” (Walter Benjamin)
L’Arlecchino che Andrea Pennacchi porta in scena farà forse sussultare i
tanti Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della
commedia dell’arte.
Lui cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ne
azzecca una, è goffo, sovrappeso, del tutto improbabile, ma è in buona
compagnia: gli altri attori, che, come lui, sono stati assoldati, con misere
paghe, dall’imprenditore Pantalone, sono, al pari di Arlecchino, debordanti,
fuori orario, catastroficamente inadeguati.
Eppure tutti questi sbandamenti, queste uscite di scena e fughe dal
copione, che sono anche uscite nella contemporaneità dell’oggi, queste assurde
prestazioni, queste cadute di stile e cadute al suolo di corpi sciamannati,
tutte queste parole affastellate, tutto questo turbinio di azioni e gesti,
stanno proprio rifacendo il miracolo della grande commedia goldoniana, in una
forma non prevista, una commedia dirompente, straniante, che ricostruisce la
tradizione dopo averla intelligentemente tradita.
Ed ecco allora che la storia, nonostante tutto, anzi proprio grazie a
questo tutto invadente, si dipana nella sua narrazione e ne esce un Arlecchino
mai visto che riunisce stilemi diversi, frammenti di cabaret, burlesque,
avanspettacolo, commedia, dramma, un gran calderone ultrapostmoderno che
inanella via via pezzi di memoria della storia del teatro.
Per riuscire a creare un simile guazzabuglio di intenzioni, per riuscire a
renderlo eccezionalmente vivo, occorrevano attori capaci di seguirmi in un
simile delirio. Ed eccoli qui, una compagnia di compagni e complici, Marco
Artusi, Maria Celeste Carobene, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio
Mazzucato, e Anna Tringali, capaci di interpretare contemporaneamente più
ruoli, di passare dalle proteste borbottanti degli attori sottopagati, alle
vorticose azioni dei personaggi della commedia che pur devono rappresentare.
In questo incessante salto mortale di identità è il loro talento a tenere
insieme ciò che di continuo sembra sfuggire alla presa. Appartengono di
diritto alla grande tradizione del teatro veneto, grande perché sempre capace
di rischiare per rinnovarsi, come accade su queste tavole sceniche imbandite di
follia arlecchinesca.
Durante le prove immaginavo di avere Carlo Goldoni seduto in terza
fila, e dovevo dirgli di fare silenzio tanto si sganasciava dalle risate,
con gli occhi stupiti di bambino mai cresciuto di fronte a questa sua opera
divenuta così inverosimile da essere ancor più sua.
E quando poi le musiche di Giorgio Gobbo accompagnate dalla batteria di
Riccardo Nicolin si infilavano come blitz sorprendenti costringendo gli attori
a divenire anche danzanti e cantanti il Goldoni là dietro non si teneva
più.
Infine che dire delle scene fluttuanti di Carlo Sala, una scenografia
semovente, mobile, semplice come lo è la creatività quando si dimentica di
dover fare bella figura e si lascia andare al gioco infantile, grazie agli
stessi attori che si fanno operai macchinisti modificando la scena di continuo
come avvenissero improvvise folate di vento, a volte in forma di bufera a volte
come zefiro primaverile.
Il testo febbrilmente rimaneggiato ogni giorno, a partire dalle intuizioni
che sorgevano in me, vedendo all’opera la creatività degli attori, e trascritto
con solerzia da Maria Celeste Carobene, è proprio quello che fin dall’inizio
avevo immaginato. Le parole che vengono fatte volare sono anch’esse
leggere, eppure, eppure, come accade davvero nella vera commedia, arrivano
stilettate e spifferi lancinanti che parlano dei nostri giornalieri disastri di
paese e di popolo, così che i terremoti scenici ci ricordano il traballare
quotidiano delle nostre esistenze.
Marco Baliani
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