L'estate dei bambini
Da "Veleno" di Pablo Trincia all'arte di Valerio Berruti. Storie di luce e ombra.
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Mi capita molto spesso di ascoltare cose - podcast, canzoni, discorsi - ed associarle ad altre anche se apparentemente non si trovano punti di contatto. Eppure nella mia mente quelle due cose, di cui vi spiego meglio a breve, risultano chiaramente in contatto e anzi sembrano parlare della stessa questione ma con alfabeti differenti.
E così, la scorsa settimana, scrollando Spotify alla ricerca di un podcast interessante da ascoltare, sono incappata in Veleno di Pablo Trincia.
Primo di una lunga serie di podcast (è del 2017) realizzata dal giornalista che, raccontando dettagli e sfumature con una profondità diversa dal classico giornalismo, riesce a portarci all’interno di fatti di cronaca anche molto pesanti. Sempre suoi infatti sono Il dito di Dio - Voci dalla Concordia (2021) e E poi il silenzio - il disastro di Rigopiano (2024).
Strano che “Veleno” mi fosse sfuggito, ho pensato.
E così ho premuto play e mi sono ritrovata al centro dell’inchiesta sui cosiddetti “Diavoli della Bassa Modenese”, una storia che mi ha subito incuriosito ma al tempo stesso inquietato. I fatti, come Trincia ricostruisce, si svolgono tra il 1997 e il 1998 nei paesi di Mirandola e Massa Finalese. Lì, in un clima di panico e isteria collettiva, 16 bambini vengono strappati alle loro famiglie, accusate di far parte di una setta satanica dedita a rituali pedofili.
Già al sentire parlare di setta satanica e di cimiteri sono rabbrividita e mi sono detta: lo ascolto solo di giorno, con la luce del Sole.
Il podcast non si limita a un’arida esposizione dei fatti, ma si addentra nelle vite dei protagonisti, dando voce a testimonianze che non avevo mai ascoltato prima. Trincia ripercorre le tappe di una vicenda giudiziaria complessa, dalle prime indagini fino agli esiti dei processi. Viene fuori una narrazione scomoda, che mette in discussione l’operato della giustizia, che talvolta si è basata sulle sole testimonianze di bambini - mai suffragate da prove-, i quali avrebbero ricostruito e affermato fatti gravissimi perché pressati da psicologi e assistenti sociali.
L’indagine non nega né la realtà degli abusi sui minori, che purtroppo accadono di frequente, né offre risposte semplici, bensì spinge a riflettere su interrogativi complessi, lasciando che le testimonianze parlino da sole e facciano emergere una verità sfumata e difficile da accettare.
E cosi, già al terzo episodio, nonostante il richiamo a rituali che il solo nominare danno i brividi si inizia ad evidenziare una verità ben più angosciante ossia che il male si annida proprio laddove sembrerebbe esserci luce, dietro le voci e l’agire di persone che sembrerebbero agire per il bene altrui. Non maschere, cimiteri o gatti sgozzati, ma il lavaggio del cervello di quei bambini che, con le loro parole inconsapevoli, hanno distrutto la propria vita e quella di tante altre persone, compresi i loro stessi famigliari.
Ricordavo vagamente questa storia, ma in quegli anni, avendo io circa 10 anni, non avevo prestato particolare attenzione a cosa fosse successo. Eppure quella storia, accaduta a 16 bambini che avevano, chi più chi meno, la mia stessa età , mi ha colpito in modo viscerale ora.
Il titolo stesso del podcast, Veleno, racchiude l’essenza di ciò che viene raccontato: un veleno che si propaga nelle vite di questi bambini e dei loro genitori come inchiostro versato in un bicchiere d’acqua che si mescola e confonde tutto, rendendo ogni cosa scura.
Tutto diventa cattivo. Tutti diventano colpevoli, ma quanti lo sono davvero? Quell’inchiostro è fatto di paura, paranoia e pregiudizi talmente radicati che offuscano la ragione di chi doveva indagare e la memoria di sedici bambini che non sono più tornati a casa e che a distanza di 30 anni si chiedono che cosa sia veramente successo.
E qui mi aggancio alla seconda “cosa” che nella mia mente si è sovrapposta a questo podcast. Nei giorni in cui ascoltavo l’indagine di Veleno, a Milano veniva inaugurata la mostra “More than kids” di Valerio Berruti, artista che ha fatto dell’infanzia la sua cifra stilistica. Infanzia come sinonimo di leggerezza e semplicità ma che nel lavoro di Berruti va ben oltre il semplicismo interpretativo legato alle immagini iconiche di bambini poiché è ricca di messaggi profondi rivolti al mondo degli adulti. I fanciulli di Valerio Berruti rappresentano infatti tutti noi, esseri umani, che viviamo un mondo fatto di problemi enormi di cui bisogna parlare per non essere colpevoli e complici. E cosi, recandomi a Palazzo Reale per visitarla, si è espresso chiaramente il legame fra quanto narrato da Pablo Trincia nel suo podcast e quanto avevo intravisto della mostra su social e giornali. Tra le varie sale, si trova un’installazione circolare che raccoglie una serie di opere che raccontano un momento semplice e potente: un bambino che scopre la propria ombra. E’ un incontro silenzioso, quasi magico. All’inizio è stupore: l’ombra lo segue, lo imita, sembra voler giocare. In quel gesto però nasce una consapevolezza: non siamo mai davvero soli ma soprattutto, ogni cosa illuminata dalla luce proietta un lato oscuro. Scoprire l’ombra significa entrare in contatto con ciò che non si vede subito, ciò che è nascosto, a volte inquietante.
Eccolo lì il puntino di contatto che cercavo. L’avevo intravisto nelle ombre di Veleno e l’ho ritrovato saltellante in quei bambini che rincorrono la propria ombra. Ciò che mi colpisce dell’arte, e in questo caso della bravura di Berruti, è la sua capacità di superare i confini del linguaggio per trasmettere un messaggio. Che si usino la creta, il cemento o la parola scritta, se esiste l’urgenza di veicolare un contenuto, il messaggio arriverà . Forse è proprio questo il segreto dell'arte: trovare il modo non solo di parlare, ma anche di farsi ascoltare. |
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