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Lo scrittore Davide Bottiglieri: "Costruire storie, relazioni e intrecci mi ha “costretto” all’esercizio di indossare i panni dell’altro e affinare la mia empatia"

ott 9, 2023 0 comments

 


Davide ci racconti di Lei, chi è  Davide Bottiglieri come persona?

Per chi, come me, non ama parlare in maniera così esplicita di sé, questa è la domanda da un milione di dollari. Volendo dare una risposta “artistica”, diciamo che mi reputo non molto dissimile al ragazzo descritto in Nature Boy, la popolare canzone scritta da Eden Ahbez e registrata per la prima volta nell'agosto del 1947 da Nat King Cole. Sono un sognatore, uno con cui si può parlare di tutto (“di folli e di re”), ma anche un solitario, che vorrebbe andare “molto lontano, per terra e per mare”. Sono forse più abituato a offrire delle finestre socchiuse tra le pagine che scrivo, attraverso cui scrutare gli aspetti più intimi della mia personalità, piuttosto che dare accesso libero e a chiunque. Considero, pertanto, la condivisione una preziosa declinazione dell’amore.

Come nasce la sua passione per la  scrittura?

Il mio rapporto con la scrittura nasce durante gli anni liceali e, nel tempo, è andato incontro a una naturale evoluzione. Mi ci sono approcciato perché rappresentava la forma d’arte a me più congeniale attraverso cui manifestare la mia creatività. Semplicemente inventavo storie. Davo sfogo al processo creativo. Poi, come se fosse un autentico rapporto tra due amanti, sono andato oltre. Ho scoperto il lato catartico della scrittura: ho imparato a conoscermi e a conoscere il lettore attraverso le parole. Ho apprezzato la bellezza della sintassi, la difficoltà nel costruire storie più complesse. Ho compreso l’importanza dei conflitti e dell’analisi dei personaggi. Costruire storie, relazioni e intrecci mi ha “costretto” all’esercizio di indossare i panni dell’altro e affinare la mia empatia. Innamoratomi della narrativa, ho voluto approfondire ulteriormente la conoscenza della scrittura, ammirandone le altre vesti: ecco la sceneggiatura o il mondo giornalistico. Il mio rapporto con la scrittura è diventato via via più consapevole: ad oggi direi che è il mezzo attraverso cui cerco di essere una persona migliore.





 E come mai  ama scrivere in particolare di fantasy e thriller ?

Il fantasy è stato forse il primo amore. Fantasy, sotto alcuni punti di vista, è sinonimo di libertà. In un età in cui la mia principale esigenza era quella di buttar giù storie e creare mondi, il genere fantasy era quello che mi dava maggiori margini di manovra. Successivamente mi sono cimentato in tutti gli altri generi, convinto che uno scrittore capace dovesse essere in grado di scrivere di tutto. Gli anni hanno formato il mio carattere e, poiché la scrittura è forma d’espressione e non mero esercizio tecnico, la mia penna si è via via tinta di nero. Il noir, ancora più del thriller, è il genere che maggiormente mi rappresenta. Folgorato dalla letteratura gialla e aderente a processi causa-effetto che trovo a me congeniali, ho virato poi verso la sua versione più cupa, quella che recupera dal romanzo gotico il tormento. L’anti-eroe, lo sconfitto, la vittima, l’assassino, il domandarsi il “perché” piuttosto che il “come”, l’indagare le motivazioni piuttosto che soffermarsi sulla sola indagine erano gli ingredienti giusti. Spiegare perché amo il noir sarebbe come spiegare perché si ama il proprio compagno o la propria compagna. Citando Parmenide: l’essere è e non può non essere.

 Quali sono gli scrittori dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?

Credo di aver avuto due grandi maestri. Il primo è stato Tolkien, sublime nelle descrizioni. Conan Doyle, invece, mi ha reso giallista. Quando lessi “Uno studio in rosso” mi si aprì un mondo e iniziai a divorare tutto ciò che riguardasse Sherlock Holmes. Eppure già da lì capii di non voler scrivere gialli puri: del noto investigatore di Baker Street i suoi “lati oscuri” mi affascinavano più della mente sopraffina; della maldestra e divertente incapacità di Scotland Yard o dell’efficienza del dottor Watson preferivo l’ambiguità del professor Moriarty. Trovavo straordinariamente eccitante quel personaggio, le sue rare apparizioni, la descrizioni offerte da Sherlock Holmes e la sua paradossale ammirazione verso un uomo tanto pericoloso quanto geniale. Nei miei libri non ho potuto evitare di inserire riferimenti al mondo creato da sir Arthur Conan Doyle.  



 Come giovane scrittore quali sono i personaggi a cui ha dato vita  ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità.

Soprattutto all’interno dei primi lavori, l’autore riversa molto di sé nelle pagine che scrive. Allo stesso modo, ogni personaggio di Omicidi in si minore e Prove per un requiem rappresenta una parte di me e pertanto sono legato a tutti. Se dovessi fare dei nomi, direi: Ljudevit, il dottor Mesmer ed Helena.

Il primo è il protagonista dei miei libri, giovane e brillante ispettore, romantico anti-eroe per eccellenza, con tanti punti in comune con la sua nemesi, l’assassino nei miei romanzi. È un uomo tormentato, che si presenta già con evidenti crepe nell’anima e che, con l’andar delle pagine, sarà sempre di più catturato dall’oscurità. È tutt’altro che infallibile e paga a caro prezzo ogni suo errore.

Il dottor Mesmer, personaggio storico davvero esistito e creatore del “mesmerismo”, è la sua fedele spalla. Ho adorato caratterizzare questo personaggio. È un uomo dalla vasta conoscenza, che accetta di aiutare il protagonista solo per poter riscattare il suo nome agli occhi dei grandi luminari del Sacro Romano Impero, ma che successivamente si affeziona a Ljudevit e ne osserva la terribile metamorfosi. Consapevole della sua importanza nella vita del protagonista, abbandona i suoi iniziali egoistici propositi e resta al suo fianco per vegliare su di lui, nel tentativo di salvarlo dalle oscure derive della sua mente.

Helena è una donna incredibilmente forte e indipendente, un po’ in antitesi con l’immaginario collettivo di donna dell’epoca, sempre un po’ assoggettata non solo all’uomo, ma anche alle briglie sociali. Non è preda, ma predatrice. Osserva ogni cosa con la volontà dichiarata di conoscerla e farla sua, eppure bilancia in modo sublime il suo lato felino con una straordinaria dolcezza. Accarezza l’animo tormentato del protagonista, ne percepisce la fragilità e, pertanto, ne sfiora le crepe con quella leggerezza amorevole che funge da unguento e non da peso, allontanando ogni rischio di rottura. È da queste caratteristiche che nasce il suo irresistibile fascino, più che dalla sua evidente bellezza fisica. Il suo rapporto con Ljudevit ha ancora molto da raccontare.  



 Preferisce scrivere libri o sceneggiature ?

Nasco scrittore, morirò scrittore. Scrivere romanzi e sceneggiature sono esercizi molto diversi, ed entrambi hanno un proprio fascino. La sceneggiatura è un meraviglioso lavoro di immagini, di cui adoro la necessaria cura della regia. Il romanzo sfrutta l’immaginifico del lettore e, pertanto, per quanto l’autore possa dirottare abilmente il pensiero di chi sta leggendo il suo testo, ogni lettore creerà nella sua mente un’immagine diversa, aderente alla sua personale sensibilità. Questo forma un legame particolare tra scrittore e lettore. Il libro non termina mai con l’ultimo punto dell’ultima pagina dell’ultimo capitolo. Ogni presentazione è un’occasione per arricchire la storia di una sfumatura diversa, non più aggiunta dall’autore, ma di chi ha letto le pagine ne ha distillato un colore proprio, del tutto nuovo.

 Lei ha curato la sceneggiatura di Nero Acciaio, un fumetto sui disastri ambientali, da dove nasce questa esigenza.

Nero Acciaio è un fumetto che nasce da un progetto di sensibilizzazione promosso dall’Associazione Salute e Vita, in collaborazione con CSV – Sodalis, con lo scopo di accendere i riflettori sulle dinamiche illecite che contraddistinguono i disastri ambientali causati dalle macchinazioni criminose di imprese disseminate sull’intero territorio nazionale. Sono molto felice di aver avuto la possibilità di offrire la mia professionalità e la mia arte per un’iniziativa tanto lodevole. Ritengo che sensibilizzare sul tema disastri ambientali sia prioritario. Il mondo intero, e l’Europa in prima fila, si sta muovendo nella direzione dell’Industria 5.0. Le tecnologie attuali permettono di essere eco-sostenibili, eppure ci sono tanti imprenditori che devastano e uccidono attraverso le loro scelte scellerate. Ho avuto il piacere di conoscere Lorenzo Forte, presidente dell’Associazione Salute e Vita, qualche anno fa, durante la presentazione dei libri di Vincenzo De Marco, ex operaio Ilva, che ha denunciato le attività criminali dell’impianto attraverso le sue poesie. Da lì ho approfondito la battaglia che Lorenzo affronta da anni contro le Fonderie Pisano di Salerno e, in generale, i disastri ambientali causati da industrie inquinanti. Negli anni ho contribuito alla realizzazione di eventi tematici come CinemAzioni per i Diritti Sociali e il Festival dei Diritti Sociali, iniziative che hanno coinvolto artisti e professionisti che cercano di combattere questa piaga. Nero Acciaio è stata solo l’ultima iniziativa. Il fumetto pone l’attenzione su tre aspetti: l’importanza della partecipazione della cittadinanza e lo scopo dell’associazionismo, l’infame dicotomia tra diritto alla salute e diritto al lavoro, le intrappolanti maglie legali che non sempre assicurano la giustizia.
L’espediente narrativo crea una formula di facile fruizione e digestione di tematiche altrimenti pesanti e “di nicchia”. Il media fumetto assicura una transgenerazionalità al lavoro realizzato, necessaria per la massima diffusione di un’opera di denuncia.

 

8.  Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo della cultura ai giovani artisti in  un settore  in continuo cambiamento come il teatro, la scrittura, il cinema e la televisione ormai assorbite dalla rete?  C’è spazio in Italia per giovani artisti talentuosi ?

Credo che ci sia sempre spazio per i giovani artisti talentuosi. È cambiato sicuramente il tipo di talento che la società di oggi richiede e il luogo in cui trovare questo spazio.

Il mondo della cultura è sempre riflesso della società di riferimento. Questa è l’epoca della “società dell’apparire”, motivo per cui un talento fondamentale da avere, al di là di quelli “classici”, è la spiccata capacità di “vendersi” bene, capire quali sono i canali che danno maggiore visibilità e saperli sfruttare. Ad oggi, anche in tantissimi campi artistici, sembra prioritario apparire piuttosto che essere. Basti vedere quanti talent-show sono nati, che successo hanno e quali artisti vengono “portati avanti”. Anche su palcoscenici più importanti spiccano maggiormente gli artisti più appariscenti, alcuni dei quali sono più noti per l’abbigliamento o la coreografia che per le doti canore o di scrittura. Questo dà misura di cosa si cerca oggi. Questo non significa che non è importante avere un talento cristallino nel canto o nella musica o in altro. Semplicemente non è più prioritario, che è diverso. Credo che adesso sia richiesto un profilo molto più complesso, non basta più saper solo cantare, scrivere, recitare etc. E voglio credere che queste capacità siano ancora importanti, sebbene non più prioritarie. Ad oggi, per poter emergere, bisogna sapersi vendere più di ieri. Un artista non “vende” più solo la sua arte, ma anche il suo “personaggio”, che alle volte corrisponde all’artista stesso, altre volte a una sua versione artificiale e costruita. Ed essendoci un prodotto in vendita, bisogna rispondere alle richieste del mercato. Questo non vuole svilire la figura dell’artista dei giorni nostri, semplicemente rendere consapevoli che un ragazzo o una ragazza con serio interesse di emergere nel mondo dell’arte e della cultura, non solo deve studiare tanto, ma deve anche essere poliedrico e ragionare su più fronti, non solo prettamente artistici.



 Il rapporto con la sua città Natale .

Salerno è l’eterna incompiuta. Una città che ti fa innamorare e disperare allo stesso tempo. Offre tanto, ma comparato a quanto potrebbe dare è davvero ben poca cosa. Qui ho i miei affetti, le mie radici e i miei ricordi. Il mio rapporto è pertanto viscerale e, da persona innamorata della propria città, così come altri, ho provato a dare il mio piccolo contributo per elevarla. Ma per un autentico salto di qualità, ci vorrebbe qualcosa di più strutturale e persone di caratura ben differente rispetto a Davide Bottiglieri.

 I suoi prossimi impegni.

Numerosi, tanto per cambiare, ma li sto piano piano riducendo. Ho in calendario numerose presentazioni del fumetto, qui in Campania e fuori. Chiuderò tra un po’ un’altra sceneggiatura cinematografica e che sarà, almeno per un bel po’, anche l’ultima. Voglio riprendere la stesura di romanzi, i tempi sono maturi e ne sento l’esigenza. Da lì in poi non mi allontanerò più da quella forma di scrittura che tanto amo.

 

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