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Il regista Michele Segreto: " Nel teatro vedo un modo per raccontare ma, soprattutto, per incontrarsi."

nov 26, 2024 0 comments



Michele ci racconti di Lei, chi è Michele Segreto come persona?

 Sono un regista e un drammaturgo, ma prima di tutto sono una persona curiosa che cerca di conoscere più cose possibili. Mi interesso di molte cose, non solo di teatro, benché ne abbia fatto una professione. Anzi, spesso sono contento di prendermi una pausa dalla scena per dedicarmi ad altro.

 Come nasce la sua passione per il teatro?

 Credo di aver sempre avuto la passione per il racconto. Di tutti i tipi, dalle storie raccontate a mia figlia fino all’amore per il cinema. Nel teatro vedo un modo per raccontare ma, soprattutto, per incontrarsi.

 Da laureato in lettere a regista teatrale. Come avviene questo passaggio.


In realtà la Laurea era già virata sulla drammaturgia: mi sono laureato con una tesi su Macbeth e sul dilemma del libero arbitrio all’interno dell’opera. Nel frattempo ho sempre portato avanti una carriera da attore, con alcune cose di cui vado fiero. Nel 2013 ho iniziato un percorso di Alta Formazione con ERT diretto da Claudio Longhi. Era un percorso per creare un’idea di professione “una e trina”: attore, regista, dramaturg. Nei gruppi di lavoro Claudio mi ha sempre inserito nel gruppo regia. Mi è parso un segnale forte. Ma soprattutto ho conosciuto un gruppo di attori e attrici che davano vita alle cose che riuscivo solo a immaginare, e con cui tutt’ora collaboro.

 Nel 2012 fonda servomutoTeatro, selezionata tra le più interessanti compagnie under35 a livello nazionale da Festival Hystrio. Da dove nasce questa esigenza.

 Nel 2012 avevo 23 anni e avevo già capito da un pezzo che volevo fare questo: unire le forse con alcuni amici per cominciare a lavorare a degli spettacoli è stato quasi ovvio. Meno ovvio era che la compagnia sopravvivesse a questo impulso giovanile e un po’ sconsiderato, e invece…

 Nel 2020 è finalista alla Biennale di Venezia al concorso Registi under 30. Una bella soddisfazione

 Decisamente. Parlavo di cinema: in quella edizione ho presentato un lavoro su Akira Kurosawa, regista che ho amato fin da ragazz(in)o. Non abbiamo vinto, ma il progetto è stato accolto bene, sia dal direttore Antonio Latella che dai (pochi) presenti. Nel 2020 è stata un’edizione insolita; senza pubblico, con distanziamento, guanti, mascherine. Forse anche per questo, il progetto su Kurosawa è in fase di completamento solo oggi.

 Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?

 Ho citato Kurosawa ma sarebbe impossibile cercare di avvicinarsi. Amo molto Milo Rau, il gruppo irlandese Dead Centre, il lavoro di Agrupacio Senor Serrano. Ma mi ispira la loro disciplina, più che la loro poetica.



 Come regista quali sono i personaggi o i testi che ha portato in scena ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità.

 Come autore, anche, lavoro molto di frequente su testi miei, dunque mi è abbastanza facile empatizzare con personaggi che ho scritto. Mi scopro vicino a Filippo Melantone in NON UN’OPERA BUONA, nello spettacolo che abbiamo realizzato su Martin Lutero, o a Adolphe Chaillet in PHOEBUSKARTELL. Tutti personaggi che diranno poco a chi legge, ma le cui vite ho incrociato scrivendo.



 Ci parli della sua collaborazione con il drammaturgo Fabio Pisano, come nasce questa collaborazione.

 Con Fabio ci siamo conosciuti nel 2015 ad un College di drammaturgia, appunto, in Biennale Teatro. Lavoravamo con Mark Ravenhill e Fabio era seduto accanto a me. Credo non si offenderà se rivelo qui che non parla una parola di inglese: gli ho tradotto in simultanea tutta la lezione del mattino, e ad ora di pranzo avevamo fatto amicizia.

 Che messaggio e che possibilità dà oggi il mondo della cultura ai giovani artisti in un settore in continuo cambiamento come il teatro, cinema e la musica ormai assorbiti dalla rete?  C’è spazio in Italia per giovani artisti talentuosi?

 Comincerò dicendo che non vedo tutto questo continuo cambiamento. Mi pare, invece, che tutto cambi perché gattopardescamente non cambi nulla. Il talento è una cosa difficile che va coltivata, mentre vedo molto più intorno a me la tendenza a gridare al “genio” per poi dimenticarseli per strada, passata la moda. Io sono contento di fare il mio lavoro perlopiù senza dipendere da queste dinamiche, proprio perché il lavoro, in un certo senso, me lo creo.

 

Il rapporto con la sua città natale.

 Sono nato a Brescia, ho vissuto diversi anni a Milano e poi ci sono ritornato. A Brescia ho mosso i primi passi ma oggi, a parte singoli progetti, non ho una vera progettualità su quel territorio. Se devo parlare dal un punto di vista delle esperienze lavorative che mi hanno formato, la mia città natale è Milano.

 


I suoi prossimi impegni.

Dopo DE/FRAMMENTAZIONE abbiamo una piccola tournée di TYCOONS, uno spettacolo che fa parte di una trilogia sul capitalismo. Poi inizieremo a progettare con gli Scarti a La Spezia una nostra versione del progetto Profeti in Patria, porteremo avanti il progetto REVOLUTION con il Teatro Fontana di Milano e prepareremo la seconda edizione del 

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