Emanuele ci racconti di Lei, chi è Emanuele Iovino come persona?
Ho la tentazione di parlare di me in terza persona. Ma ho paura che qualcuno possa trovare qualche teoria psicologica strampalata a riguardo. Ciao, prima di tutto! A chi mi intervista e chi mi legge. Sono molto ironico ed autoironico. Qualcosa che probabilmente uso per mascherare la mia insicurezza. Forse posso dire con più facilità ciò che sono perché ho bisogno di distacco per comprendere la quasi totalità delle cose. Ci ho messo del tempo, ad esempio, per capire che ogni cosa ha suo tempo e che non esiste il tempo esatto per qualcosa. Ma forse ho detto molte volte tempo. Il tempo mi spaventa. “Due o tre cose che so di me” è che nonostante le apparenze sono una persona che alle feste gli piace stare in un angolo a osservare più che ad intervenire. Non per timidezza, ma per curiosità. Ho un rapporto di odio e amore con l’abitudine che mi fa sentire al sicuro e io ho bisogno di mettermi in pericolo. Ma percependo la vita come corrente alternata so anche che ho bisogno della noia per partorire idee. Sicuramente più o meno concretamente sono un attore, un insegnante di teatro e un drammaturgo. Odio i numeri e la matematica. E per concludere, non vorrei affatto dilungarmi troppo: vorrei che qualcun altro più intelligente e capace scrivesse la mia biografia. Ecco, sono sicuro che qualsiasi cosa farò, di sicuro non smetterò di sentirmi legato alla recitazione, al teatro e alla scrittura.
Come nasce la sua passione per la recitazione?
Da bambino mi portavano a vedere gli spettacoli della compagnia amatoriale della chiesa di fronte casa dei miei nonni materni. Affittavano un teatro, che oggi non esiste più, nelle traverse del Corso Secondigliano. Mi incuriosiva che sul palco fossero diversi rispetto a quando li vedevo per strada nella quotidianità. Forse il palco dava la possibilità di essere altro da sé e questo mi piaceva. Quando la maestra in quinta elementare ci ha proposto per fine anno di fare una scena tratta da “Ditegli sempre di sì” di Eduardo De Filippo mi ricordo che fui felicissimo. Da lì è partito tutto.
Come si passa da laureato in Scienze delle comunicazioni ad attore a tempo pieno?
Scienze della comunicazione rispetto alla scuola superiore l’ho fatta con più consapevolezza. Forse ero un po’ immaturo però. Penso che sia qualcosa che abbia a che fare con la comunicazione o comunque con la voglia di comunicare che è quasi complementare alla recitazione. Non ho mai praticato la laurea che ho preso ma mi porto quel bagaglio con me sempre: per la mia voglia di creazione e di comunicare, di trovare strategie per dare luce a qualsiasi cosa. E poi ho conosciuto degli amici che mi porterò dietro tutta la vita.
Quali sono gli artisti dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?
Paolo Sorrentino e Mattia Torre per la scrittura. Federico Fellini per la composizione delle immagini. Elio Germano e Lino Musella per la leggerezza e profondità delle loro interpretazioni. Thom Yorke per la modalità in cui usa l’arte per comunicare tematiche complesse. Questi artisti hanno in comune di entrare nelle intercapedini dell’essere umano. Sono fotografi della società in cui vivono/hanno vissuto. E infine mio padre, che è un’artista nel suo lavoro, che mi ha insegnato il valore dell’essere onesti.
Ci sono stati degli anni profondamente trasformativi nella mia vita: il 2013 è uno di quelli: il mio primo amore finito, il primo lutto importante della mia vita: mio nonno paterno e una ragazza, scenografa, che conobbi durante uno spettacolo che mi disse: ti piace il teatro? Perché non ti iscrivi all’Elicantropo!
Frequentare quel laboratorio mi ha dato metodo, conoscenza dell’altro, contaminazione con i miei colleghi. Gli insegnamenti di persone come Imma Villa e Carlo Cerciello me li porterò dentro sempre. Ad esempio, mi hanno fatto capire che il teatro è anche politico, nel senso che agisce con coscienza rispetto alla società in cui si vive. Però guardando indietro mi sentivo profondamente insicuro e forse non ho raccolto quanto dovevo perché mi sentivo sempre inadeguato. Direi a quel giovane uomo di mettersi più in gioco e di divertirsi di più. Il teatro è un gioco – serio sì – ma è un gioco. E l’attore è un meraviglioso giullare nel senso più nobile del termine.
Come giovane attore quali sono i personaggi che ha portato in scena ed ha sentito più vicino alla sua sensibilità.
Ti ringrazio per il giovane. Effettivamente 36 anni portati magnificamente, ma sto solo tergiversando, semplicemente perché per me è difficile rispondere. Credo di avere un livello di sensibilità non altissimo, più che altro ampio quindi vengo assorbito dai personaggi che interpreto, cerco di non giudicarli mai ma di prenderli per mano e farmi raccontare i segreti più reconditi che hanno. Il difficile per me è trattenere questi segreti, l’attore deve avere il suo segreto, solo così può diventare un personaggio seduttivo. Vengo assorbito ma poi non li porto dentro, li lascio andare, perché sono affamato di curiosità e meraviglia; quindi, è giusto congedarsi per il beneficio di andare avanti. Sì, il personaggio più vicino alla mia sensibilità è quello che ancora non ho interpretato.
Poi arriva la
scrittura….
Ho sempre scritto
qualcosa, da quando ero molto piccolo. Scrivevo poesie e testi di canzoni, avrei
voluto avere una band tutta mia (ma non ho mai imparato a suonare) Poi qualcosa
si è rotto o inaridito, non so. È iniziata a subentrare una parte giudicante
che pensava che ciò che scrivessi non interessasse a nessuno. Dai 21 anni fino
a qualche anno fa non ho più scritto. Poi qualcosa è cambiato verso i 30 anni
ed ho iniziato a tenere dei quaderni in cui scrivevo di tutto. Ad un certo
punto c’era così tanto materiale che ho sentito la necessità di raccontare una
porzione della mia vita e l’anno scorso ho scritto questo monologo “È la fine!”
che ho prodotto e sto portando in scena. Oltre questo ho all’attivo un testo
sul fiume Sebeto “Storia ‘e nu ciummo ca vuleva turna’ a nascere” menzione
speciale come miglior testo e miglior attore al Premio Serra 2024 e altre
piccole cose. Non ho intenzione per niente di smettere di scrivere.
Che messaggio e che possibilità dà oggi il
mondo dell’arte ai giovani artisti in un settore in continuo cambiamento come
il teatro, cinema e la televisione ormai assorbiti dalla rete? C’è spazio in Italia per giovani artisti
talentuosi?
Conflittuale e critico. Napoli è bellissima, ma no, non è la
città più bella del mondo. Come tutte le grandi città soprattutto grandi ha le
sue contraddizioni. Sono fiero di essere Napoletano ma tendo sempre a volermi
allontanare, forse per ritrovarmi più vicino quando ci re-incontriamo. Tanto è
vero che ho vissuto a Torino ed attualmente vivo a Caserta con la mia compagna.
Queste non sono città perfette o migliori di Napoli ma hanno al loro interno
qualcosa di molto più simile a come voglio vivere. Napoli è una città
fondamentale per me, e lo sarà sempre ma non riesco più a viverci, in questa
fase penso di aver bisogno di tranquillità. Non sopporto più il caos,
l’elettricità dell’aria e dover cercare parcheggio per ore. Però..poi, magari…
chissà…
I suoi prossimi impegni.
Il mio spettacolo “È la fine!”
con la regia di Giuliana Pisano è il mio progetto principale. Veniamo da un
grande consenso di pubblico e di critica dal “Milano Off Fringe Festival” e dal
“Catania Off Fringe Festival” dove abbiamo vinto un premio “Il mondo che si
muove” che ci permetterà di partecipare all’omonimo festival che si terrà a
Livorno nel 2025 inoltrato. Mi aspettano date Novembrine dello spettacolo in
piccoli ma deliziosi spazi teatrali: ScugnizzArt a Napoli il 16-17, mentre il
23 data secca dai ragazzi di Spazio51 a Scafati. Poi nel 2025 ancora date al
MadreArte a Villaricca, ad Itaca Colonia Creativa a Pomigliano, Sala Ichos a
San Giovanni a Teduccio e infine al Fazio Open Theater a Capua. Oltre questo
alcune date di uno spettacolo a cui tengo tantissimo con la mia collega e amica
Laura Pagliara: Radici e oltre… che andrà in scena al Teatro Serra a Napoli e
in occasione della bellissima stagione di Wunderkammer.
Prima di tutto però, ho bisogno
di acquistare un attaccapanni nella casa in cui mi sono appena trasferito.
Inizia a far freddo e ad Emanuele Iovino non piace avere i cappotti sulle
sedie.
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