Titti Marrone mette al centro la sua Napoli, teatro di un “primmammore” malvagio e di un altro appassionatamente animato dalla voglia di riscatto. Un romanzo sulle periferie che richiama alla mente uno dei peggiori fatti di cronaca degli ultimi anni, ma che è anche la storia dell’impegno disinteressato di generazioni di giovani a tutela dei più deboli.
«Tutte le parole che servivano erano state pronunciate nell'aula. Niente da dire, per carità, andava fatto così. Ma l'immaginazione non può avere accesso all'evocazione di certe cose. Per quanto sfrenata possa essere, non può spingersi in certi territori. E la mente vuole proteggere chi ha ascoltato. Vorrebbe chiudersi, non consentire la trasmissione delle parole dalle orecchie al cervello, perché la ragione non vuole accoglierle.»
Periferia di Napoli. Sull’asfalto la sagoma di una bambina di sei anni, precipitata dall’ultimo piano. Un incidente? Il palazzo riprende i suoi traffici, il vocio diffuso tra le scale copre i silenzi omertosi, gli odori delle cucine sovrastano la puzza dei sospetti. Eppure Costanza, maestra della bimba, intuisce che quella morte non è stata un tragico incidente. Anche Marco, figlio di Costanza e giornalista come suo padre, nutre molti dubbi. Madre e figlio penetrano così nell’intricato sistema di scale e corridoi del palazzo maledetto. Intercettano segreti, bugie, violenze. Intanto Costanza torna con la memoria alla giovinezza delle lotte sociali condivise con Sirio, l’amore di una vita. Rivive l’esperienza della Mensa dei bambini di Montesanto, la voglia di rivoltarsi contro il patriarcato. Torna qui la Napoli del colera, del terremoto – resa unica dai suoi scrittori, dai suoi tanti artisti. Ma il suo rievocare accende anche alcune domande: il male è confinato solo tra le mura di quel palazzo di periferia? E perché avverte il dolore della madre della bimba così vicino al suo? Per arrivare alla verità, Costanza deve prima comprendere un mondo altro, retto da leggi contro natura o criminose.
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