Quell’abbraccio di Nino Benvenuti con Griffith, 40 anni dopo le tre sfide storiche. Nel 2010 a Roma l’incontro tra i due fuoriclasse.
Quel 24 aprile 2010. Emile Griffith è malato, le medicine lo aiutano a controllare l’Alzheimer, e il lungo volo da New York verso l'Italia per amore di un sentimento che si chiama amicizia.Eppure, quando abbraccia Nino che lo ha invitato in Italia per una rimpatriata a oltre quarant’anni dai loro match entrati nel mito, gli occhi piccoli piccoli si fanno virgola bianca tanto sottile quanto sorridente su quel faccione nero. «Ninou, oh Ninou». E l’abbraccio è, davvero, commovente. Tre anni dopo quell’incontro, avvenuto in un anonimo circolo sportivo della primissima periferia romana, il 23 luglio 2013 Griffith lascerà il ring della vita. Ora, «Ninou» lo ha raggiunto.
Se le erano date di santa ragione, Nino ed Emile. Tre incontri. Il 17 aprile 1967 vinse Benvenuti. Il 29 settembre 1967 fu la rivincita di Griffith. Infine, 4 marzo 1968: Benvenuti definitivamente campione dei medi. Ma si può diventare amici dopo una trilogia di cazzotti così? «Non puoi non diventare amico di un pugile con il quale hai diviso la bellezza di 45 round su un ring» confidò Nino quel giorno.
«Quello è stato uno di quei momenti che vorresti incorniciare per sempre. E io sono straordinariamente fortunato a poterlo rivivere così: sullo schermo le immagini ed Emilio, sì, io lo chiamo così, proprio Emilio, qua, con me. A proposito. Guarda bene le mani di Emilio: sono piccole ma facevano tanto male. E poi era sì più piccolo di me di 9 centimetri, ma aveva una velocità straordinaria».Si emozionava, Nino Benvenuti, a ricordare quelle tre notti magiche. Così come si emozionava sempre quando riceveva una telefonata da Trieste. Viveva da anni e anni a Roma, eppure il cuore era rimasto quassù, in riva all’Adriatico.
Sette anni fa, in occasione dei suoi 80 anni, aveva aperto il suo cuore al Piccolo, che per lui era sempre rimasto il giornale di casa.E fu una lunga chiacchierata, anche se in quel periodo Nino già non stava troppo bene, anzi. Ci teneva però a parlare con Trieste e fu davvero difficile ridurre il suo racconto nello spazio sempre angusto di un articolo di giornale. «Isola? Una cittadina adorabile, magnifica. Ce ne siamo andati, esuli, che ero alle medie, eppure i ricordi sono rimasti intatti. Papà aveva costruito una casa all’ingresso del paese mentre la casa dei nonni, quattro piani proprio vicino al duomo, era in via Contesini 13, e lì eravamo nati noi."
«Ma avevo iniziato piccolissimo a casa: pigliavo i calzettoni, ci infilavo altre calze dentro per imbottirli e li infilavo sulle mani. Furono i miei primi guantoni». Poi, finita la carriera sportiva, scelse Roma. «Ma Trieste e la mia Isola sarebbero rimaste per sempre dentro di me – amava ripetere -. E poi Trieste continuò a significare anche il non-rapporto con i figli nati dal primo matrimonio, rimasto sempre il suo più grande rimpianto.
«Sì, ci sono stati momenti difficili. Ma oggi, a 80 anni, guardandomi alle spalle, dico anche che vivendo una vita come la mia non si può avere tutto che funziona. Tirando le somme, posso dire di avere tante cose da piangere, ma al tempo stesso sono felice per come sono arrivato a oggi». Già , che vita la sua vita. «Ãˆ stata proprio come un film», sorrise al termine di quell’ultima intervista .
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