Qualche giorno fa, del tutto casualmente, mi sono ritrovata a osservare un’opera del maestro surrealista Salvador Dalì.
Si trattava di uno dei suoi lavori più noti, una di quelle opere che a
chiunque sarà capitato di vedere almeno una volta nella vita, stampata
su un libro o esposta in museo.
Mi riferisco all’opera La persistenza della memoria,
ora presente nella collezione del Museum of Modern Art di New York.
Personalmente l’avevo vista centinaia di volte eppure non aveva mai
catturato la mia attenzione come in quel preciso istante.
Mi sono soffermata a guardarla e a riflettere sulle parole “persistenza” e “memoria”.
Quegli orologi molli, catturati nell’atto di sciogliersi quasi fossero
formaggio. Il paesaggio scarno, le rocce illuminate dalla luce del
crepuscolo, un albero con i rami tagliati.
Quella visione è riuscita a portarmi in un luogo della mente che prende
la forma di una sensazione di incertezza e dolore. LÃ dove tutto sembra
fermarsi all’improvviso, dove il tempo si dilata e la memoria si
inquina. Mi sono addirittura stupita di quanto un’espressione tanto
insolita e fantasiosa potesse rappresentare perfettamente i sentimenti
di chi per paura, dolore o disagio, temporeggia nei sentimenti, li
trattiene fino a farli dilatare, modificandoli per sempre.
L’artista racconta di aver concepito l’opera dopo una cena, durante la
quale aveva mangiato del camembert. Rientrato nel suo studio osserva il
quadro a cui sta lavorando e in quel momento ha un’illuminazione: il
ricordo del formaggio che sta “fondendo” suscita in lui l’immagine degli
orologi molli, simbolo delle deformazioni del tempo nella nostra mente.
Dalì, per realizzare questo quadro, si ispira alla filosofia di Henry
Bergson sulla concezione soggettiva del tempo, espressa in testi quali Saggio sui dati immediati della coscienza e Durata e simultaneità .
La concezione “scientifica” del tempo, come una linea continua
perfettamente misurabile, viene messa in crisi dalla coscienza e dalla
memoria umana che lo percepiscono e lo rielaborano. Gli orologi inoltre
diventano simbolo del tempo che divora ogni cosa e che viene a sua
volta intaccato e consumato dalla realtà , qui rappresentata dai piccoli
insetti dipinti.
Tornando ad oggi, mi sono altresì resa conto che siamo in prossimità del centenario della nascita del Surrealismo.
Era il primo dicembre 1924 quando a Parigi il poeta André Breton pubblicava la sua raccolta di prose Poisson Soluble,
la cui introduzione sarebbe diventata il Primo Manifesto del
Surrealismo, inaugurando ufficialmente la più onirica tra le avanguardie
del XX secolo.
I Surrealisti cercarono di esplorare la psiche umana oltre i limiti
imposti dalla ragione, di espandere la realtà oltre i suoi confini
fisici, per attingere a una dimensione più piena dell’esistenza che
definirono surrealtà .
Per chi volesse fare un tuffo nell’immaginario surrealista, è in corso al
Mudec di Milano fino al 30 luglio la mostra
DalÃ, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen,
esposizione nata dalla collaborazione tra il museo milanese e il Museo
Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, noto per la sua importante
collezione di opere d’arte surrealista.
E allora, tornando al principio di questa riflessione, viene spontaneo
chiedersi se approcciare il nostro tempo indossando degli occhiali
surrealisti possa aiutarci ad affrontare le nostre paure o le nostre
ansie. Del resto, viviamo un’epoca che molti analisti hanno definito
“della policrisi”, ossia un enorme puzzle di crisi.
Loro, i surrealisti, produssero arte nel bel mezzo di due guerre mondiali.
Noi, tra pandemia, crisi finanziaria, e una guerra sul suolo europeo,
siamo chiamati a rimanere saldi nei nostri principi e nei nostri valori,
a non perderci d'animo.
Siamo altresì chiamati ad andare avanti nei nostri progetti e per
questo, per ritrovare un po’ di ispirazione, potremmo sfruttare
l’eredità surrealista, rifugiandoci in un mondo dove il tempo non
esiste, come lo stesso Dalì scrisse nel 1928:
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