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Il giovane attore Carlo Di Maro : "Il personaggio non può esistere senza il mio “stare”. Metto la mia voce, il mio corpo, il mio mondo emotivo, la mia storia al servizio del personaggio.."

lug 17, 2023 0 comments


 Carlo ci racconti di Lei, chi è Carlo Di Maro come persona?

Sono un giovane attore di 25 anni che vive a Napoli e che ama profondamente l’arte in ogni sua forma. Mi considero una persona molto solare che non si perde mai d’animo e cerca di guardare la vita sempre con sguardo ottimista. Quando incontro un problema o un ostacolo sono subito pronto a trovare una soluzione senza scoraggiarmi. Fondamentalmente credo nel principio per cui, nella vita, se una cosa deve accadere, accade o in caso contrario mi dico che non era giusta per me. Sono caparbio, costante e coraggioso. Tanto coraggioso da aver abbandonato, di punto in bianco dopo 6 anni, un lavoro full-time a tempo indeterminato per dedicarmi completamente alla recitazione. Un matto che ha fatto una scelta radicale e che ha la necessità di vivere, respirare e cibarsi di arte. Metto passione in ogni cosa che faccio. Per questo la qualità che forse davvero mi riconosco è la determinazione e la mia continua e insaziabile voglia di conoscere. Sono un perfezionista, un pignolo che vorrebbe avere sempre tutto sotto controllo. Non mi piace perdere tempo. Che io sia impegnato in qualche progetto/lavoro o meno, per me ogni ora va sfruttata, programmata e dedicata alla crescita personale e professionale e, naturalmente, ai rapporti interpersonali. Amo perdermi negli occhi e nelle parole di chi incontro... Mi piace molto osservare e vivere le persone, amo stare incontatto con il mondo perché credo sia, specialmente per un artista, un pozzo da cui attingere.

Descriva il suo giorno lavorativo perfetto….

Sveglia presto, un’abbondante colazione, un’ora di attività fisica e un po’ di meditazione al buio che mi aiuti a riflettere, a rilassarmi, a sgombrare la mente. Che sia un caotico set o sulle tavole di un teatro, sul luogo di lavoro amo arrivare in anticipo. Più che l’opera finita, quello che secondo me rende le giornate lavorative di un artista “perfette” è tutto il “prima”, la preparazione di quello che sarà. Se parliamo di uno spettacolo dal vivo, in particolare, non posso non pensare alle “prove”! La fase di prove in teatro racchiude l'essenza stessa di uno spettacolo, il cui concepimento è emozionante e quasi soprannaturale. Un vero e proprio miracolo! Bisognerebbe aprire di più le prove al pubblico, coinvolgerlo in quel momentodivino. Tornando alla mia giornata, la chiuderei in relax o con una chiacchiera con amici davanti a una birra, oppure rilassandomi in una vasca calda mentre leggo un buon libro preparandomi per il giorno successivo.



Quali sono i personaggi artistici dai quali si sente maggiormente influenzato o da cui trae ispirazione?

Personaggi artistici che mi hanno colpito e fatto “scorrere dentro” un fuoco ce ne sono, e molti di questi mi incentivano tutt’ora a ricercare, scoprire e dare sempre di più. Mi verrebbe da citare V. Gassman, M. Mastroianni, V. De Sica, T. Servillo, G. M. Volontè, E. De Filippo, D. Hoffman, C. Eastwood, R. De Niro, D. Day-Lewis, M. Brando… mi fermo! Ci terrei però a sottolineare che sono influenzato da “tutti e nessuno”. Nel senso che non prendo in considerazione solo i grandi personaggi artistici, ma tutte le persone che ho incontrato fino ad ora e che continuo ad incrociare. Ogni volta che salgo su un treno, cammino per strada, entro in un negozio...beh lì trovo materia viva che si dona anche non volendo. Ed io prendo, rubo e conservo nel mio deposito interiore, per poi mettere quel tesoro al servizio del mio lavoro che considero a tutti gli effetti un mestiere artigianale. Ritegno che l’attore debba essere capace di“rubare” da sé stesso e dal mondo che lo circonda: gli sguardi, i modi di fare, le storie, i dolorie le gioie per poi metterle a servizio del personaggio e della storia da raccontare.

Che cosa vuol dire per Lei portare in scena un buon personaggio?

Mi viene subito da dire “portare in scena se stessi”. Il personaggio non può esistere senza il mio “stare”. Metto la mia voce, il mio corpo, il mio mondo emotivo, la mia storia al servizio del personaggio per far vivere in modo tridimensionale quanto di lui è stato scritto dall’autore in forma bidimensionale, su carta. Mi piace arrivare insieme e accanto al personaggio, senza mai trovarmi né troppo avanti né dietro di lui. Questo rende il tutto credibile, vero e profondo. C’è sempre bisogno di una parte attiva e cosciente nell’artista sulla scena. Non amo affermazioni del tipo: “Amo perdermi nel personaggio”, piuttosto “Amo ritrovarmi nel personaggio” e scoprire dei lati di me che non sapevo di avere. A volte basta solo scavare per far emergere quello che fondamentalmente già è in noi. Per questo amo profondamente il mio lavoro. In scena non vedrai mai lo stesso Carlo che interpreta un dato personaggio ma sempre degli aspetti e delle sfaccettature diverse in funzione della storia e del personaggio da interpretare. È un interscambio stupendo che dovrà per forza crearsi tra personaggio e attore. È questo che rende il Teatro quello che è. Poi dico sempre che fondamentalmente il lavoro di un attore è paragonabile a quello di un grande prestigiatore capace di illudere, truffare, imbrogliare. Mentre con la mano destra ti mostro il mazzo di carte, con la mano sinistra sto preparando il trucco, l’escamotage per truffare te pubblico. Lo stesso accade quando si porta in scena una storia. Mi preoccupo di fare arrivare allo spettatore la veridicità e la realtà del personaggio nonostante l’ausilio della finzione e dell’illusione. Se riesco a trasmettere questo credo di aver vinto.

Dalla danza alla musica per arrivare alla piena recitazione come avvengono questi passaggi.

Ma guardi...in realtà non c’è stato un vero e proprio “passaggio”. Sarebbe più corretto parlare di una ricerca ininterrotta. Da piccolo ho avuto molte difficoltà ad espormi al mondo esterno. Ero un ragazzino timido, riservato, solitario e remissivo sempre alla continua ricerca di un porto sicuro in cui potessi evadere. Ed così che all’età di 9 anni ho iniziato a prendere parte ai primi, fondamentali, laboratori di recitazione (teatrali prima e cinematografici poi) nella mia città natale che mi hanno stravolto l’esistenza. Durante gli anni ho avuto, poi, modo di approcciare e approfondire molte altre discipline: musica, canto, danza, scrittura, doppiaggio. Discipline che si sono rese funzionali e utili al mio lavoro d’attore oggi. La mia curiosità e la mia insaziabile fame d’arte mi ha spinto ad avere una formazione a 360 gradi indagando nuove forme d’arte, altri mezzi e canali di comunicazione. Anche se cambiano i codici di comunicazione, credo che la cosa più importante è allargare il proprio bagaglio formativo. L’arte mi ha totalmente salvato, permettendomi di compiere una profonda autoanalisi e portandomi alla conoscenza di ciò che fino ad allora avevo sempre trascurato ed ignorato: me stesso. Mi ha dato la possibilità di scoprire, cercare e trovare risposte. E così, la mia salvezza, si è rivelata la miapiù grande passione e da allora non mi sono mai più fermato in questa continua ricerca.



Che messaggio dà oggi il mondo dell’arte?

Ho sempre pensato che tutte le forme d’arte siano strumenti potenti per compiere una profonda auto-analisi. Dei canali che permettono all’artista e allo spettatore di cercare e trovare una risposta ad una crisi esistenziale, interiore, personale o sociale che sia. Il mondo dell’arte oggi comunica: “fuga”. Il periodo di quarantena appena trascorso spero sia stato, a suo modo, un’opportunità per ricordare che dietro ogni film, libro, poesia, serie tv, musica, spettacolo teatrale che ci ha accompagnato, distratto, coccolato e fatto evadere da quella reclusione forzata, ci sono proprio i lavoratori dello spettacolo e l’arte stessa. L’arte dà l’occasione e l’opportunità di evadere, fuggire e volare pur restando lì dove sei. Questo lo ha sempre comunicato e continuerà a farlo a prescindere il periodo storico in cui si vive.

 Il rapporto con la sua città Natale.

A dire il vero nessun rapporto in particolare. Sono nato a Villaricca e ho vissuto per anni a Giugliano in Campania (comune famoso per la mela annurca e lo scrittore Giambattista Basile) ma tendenzialmente ho sempre cercato di vivere pienamente la grande metropoli di Napoli.



Recentissima è stata la sua partecipazione al Napoli Teatro Festival 2020 con lo spettacolo “Purpacci” di E. Buonocore nella “Sezione osservatorio”. Ci racconti questa esperienza.

Lo spettacolo in questione ha debuttato l’8 luglio al Palazzo Reale (Giardino romantico) in scena per il NTF2020. È uno dei due spettacoli che fa parte di “In Erba”, progetto della Bellini Teatro Factory di cui sono allievo attore. Due atti unici da 50 minuti: “Purpacci – Quelli che non saranno” di E. Buonocore e “Mia Madre non capisce” di M. Polidoro. Un progetto che ha messo in connessione il vecchio ed il nuovo triennio della Factory: due testi delle allieve drammaturghe e noi attuali allievi attori, al nostro primo anno di studi, siamo stati diretti dai neo-diplomati registi del primo corso. Dopo un lungo periodo di lock-down e di pausa accademica dal vivo, ritrovarsi nel pieno della costruzione di questo spettacolo è stata una boccata di ossigeno puro e un’emozione difficile da spiegare. “Purpacci – Quelli che non saranno” di E. Buonocore (regia di Salvatore ScottoD’Apollonia) è un testo che parla fondamentalmente dei giovani e del loro rapporto con il futuro, l’avvenire. I protagonisti sono sette giovani senza famiglia, riuniti insieme in un rudere sul mare chiamati “e purpacci”, letteralmente “i polpacci”, perché passano le loro giornate sulla spiaggia con i pantaloni sempre arrotolati. Passivi, sono lì immobili a contemplare ilfuturo come si osserva il mare dalla spiaggia. Una gioventù nulla, molle, senza spina dorsale. Accade però qualcosa. Accade un limite. Un confine. La battigia viene recintata con un nastro costringendo questi ragazzi a starsene a un passo dalla vita che vorrebbero e potrebberovivere. Un divieto assurdo e inspiegabile.Nello spettacolo interpreto Ismaele, il personaggio più lucido, capace di fare qualcosa percambiare quello status di mollezza e passività che ha immobilizzato tutti gli altri. “Purpacci” è un canto alla giovinezza che è un’aspirazione infinita. A quelli che non saranno mai. Chissà,magari lo spettacolo in un futuro prossimo potrebbe senz’altro essere ripreso.



Il lavoro al tempo del “coronavirus” come stanno rispondendo gli artisti a questa emergenzavirale ed umanitaria che ha colpito l’Italia e il mondo intero...

Molti hanno visto interrompersi bruscamente la loro attività lavorativa per più di tre mesi, per poi imbattersi in quella che in molti hanno definito una “falsa ripartenza” in cui di fatt osoltanto una minima parte ha potuto tornare al lavoro, mentre la gran parte di essi è ancora inattiva e priva di qualsiasi forma di sostegno al reddito. Credo che questa pandemia non abbia fatto altro che far emergere quello che fondamentalmente si è sempre saputo: ovvero la poca importanza e considerazione che si ha per il settore dello spettacolo dal vivo. Molti lamentano la mancanza di dialogo e confronto con il mondo della politica circa le decisioni prese per il settore. Proprio in virtù di questa situazione i lavoratori dello spettacolo si sono mobilitati a livello nazionale con diverse organizzazioni (ad esempio “Attrici e Attori uniti”) per dare maggiore solidità alle rivendicazioni e per provare ad aprire un dialogo con le istituzioni al fine di migliorare le condizioni di tutti i lavoratori del settore per mettere mano a una riforma del mondo dello spettacolo da troppo tempo attesa e sempre rinviata.Da sempre gli artisti hanno avuto la straordinaria potenza, genialità e forza di reinventarsi eadattarsi al periodo storico in cui vivono. Non fraintendetemi quando dico “adattarsi”. Hosempre pensato che l’arte non è altro che lo specchio del periodo storico in cui si vive e in questo la storia del teatro stesso ci insegna che gli artisti sempre e comunque sono riusciti aresistere ed esistere contro ogni forma di potere. L’uomo, grazie all’arte, può cambiare séstesso e la società.



I suoi prossimi impegni?

Nel 2019 sono stato ammesso come allievo attore per il triennio 2019/22 presso la “Bellini Teatro Factory” (l’Accademia d’arte drammatica a tempo pieno del Teatro Bellini di Napoli diretta da Gabriele Russo) per cui i miei prossimi impegni sono relegati fondamentalmente ai progetti organizzati dall’accademia stessa. Porterò a termine questo meraviglioso percorso di studi intrapreso e se ci saranno dei progetti teatrali e cinematografici che potrò incastrare ben venga.  Cambiano le armi, la Storia va a rotoli, ma tutto converge in quel singolo spillo d’odio; anche quando il motivo del duello è nella nebbia, dimenticato, il duello è superiore a ogni altra cosa, è l’irragionevole ragione dominante, non c’è altro, nella vita, che il duello, tarlo mentale, danza mortale, rito infinito. Cedere alla tentazione del duello significa morire.



L'attore Carlo Di Maro insieme ad Antonio Turco è attualmente in scena con  il racconto di Joseph Conrad scritto da Francesco Niccolini regia Mario Gelardi aiuto regia Mario Ascione

I duellanti racconta il conflitto lungo una vita tra due militari Gabriel Féraud e Armand d’Hubert che sfidatisi inizialmente per un futile motivo, continuano a farlo in ogni occasione che la vita li pone uno di fronte all’altro. L’opera si incentra interamente sul conflitto tra le due figure, l’una l’opposto dell’altra. D’Hubert è un uomo sostanzialmente razionale, “privo di immaginazione che aiuta al ragionamento”, pacato, serio e ligio al dovere; Feraud è descritto come una bestia sanguigna che ama la violenza in tutte le sue forme e che comprende esclusivamente la forza come ragion d’essere, come istituzione stessa della vita. Una figura rappresenta la violenza mentre l’altra il buon senso. La tenacia ossessiva con cui Feraud costringe D’Hubert a battersi sembra trascendere la ragionevolezza per meglio rimarcare, appunto, il fatto che gli eventi drammatici della vita siano dolorosi e privi di alcun senso, di alcuna giustificazione. Ogni qual volta che D’Hubert sembra al sicuro, ecco che Feraud lo insegue, proponendogli l’eterna sfida mortale. Il fatto stesso che D’Hubert viva con Feraud alle costole è il sintomo stesso della vita che si sforza per essere indipendente dalla sfortuna e che, proprio per questo, finisce ancora più legata ai rivolgimenti della sorte. In questo adattamento di Francesco Niccolini, i due attori che interpretano i duellanti, danno voce a tutte le figure del racconto di Conrad, disegnando un mondo passato che è il riflesso dell’eterno conflitto tra gli uomini.



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