"Avevo 13 anni. Nudo, di notte, ritto sul porto, come un licantropo mi bagnavo di luce lunare. Ma alle prime luci dell’aurora, tremando, tornavo a casa. Così, senza vestirmi. Passavo baldanzoso tra i fischi e i lazzi delle puttane, che avevano finito di lavorare, e tornavano a casa. Mi convinsi che la luce dell’alba mi facesse male".
Venerdì alle 21 a Salotto Gloeden in via Nardones 55 Napoli.
In Mal d’aurora, il monologo di Lautremont offre il racconto di due città importanti: la Montevideo capitale dell’Uruguay, dov’era nato, e Parigi, dove morì troppo presto. La prosa teatrale di Mocciola è caratteristica per il linguaggio toccante e partecipato, come fosse ogni volta la commovente arringa di un avvocato chiamato a difendere i suoi clienti. Inizia con un’immagine di Montevideo: “Avevo 13 anni. Nudo, di notte, ritto sul porto, come un licantropo mi bagnavo di luce lunare. Ma alle prime luci dell’aurora, tremando, tornavo a casa. Così, senza vestirmi. Passavo baldanzoso tra i fischi e i lazzi delle puttane, che avevano finito di lavorare, e tornavano a casa. Mi convinsi che la luce dell’alba mi facesse male”. Il confronto con Parigi è assolutamente tragico: “Parigi mi opprime, e io sono allo stremo. Vivo in un quartino squallido e umido. Il mio libro è rimbalzato dagli editori, lo hanno anche stampato, ma non lo distribuiscono. Dicono che è osceno, e potrebbe fallire. Che sono fuori mercato. L’attesa mi strema. Le copie marciscono in magazzino. Il mio eroe si chiama Maldoror, e sono io. Sono io il mio eroe. È mio il suo canto. Ma nessuno vuole ascoltarlo, nessuno vuole leggermi. Nessuno”. È la Parigi pietrificata da una mancata rivoluzione, dove Verlaine e Rimbaud si conosceranno e scopriranno loro stessi.
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